Non ci sono più cave a cielo aperto il calcare si estrae dalla montagna

Non ci sono più cave a cielo aperto il calcare si estrae dalla montagna
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SERRA SAN QUIRICO - Anche il calcare massiccio del Monte Murano entra nel vivo della quarta rivoluzione industriale. Da settembre 2018, Gola della Rossa Mineraria Spa ha messo in piedi un modello di escavazione in sotterraneo e trasformato i suoi impianti per valorizzare il calcare puro al 99,9%. Sono pochi mesi che è a regime ma già attira l’interesse di tutte le cave europee. Dal punto di vista ambientale incorona nove anni di lavori strutturali che hanno concretizzato un’idea nata negli anni Novanta dalle Università di Bologna e di Trieste e che fu formalizzata in un accordo dalla regione Marche nel 2009. Un accordo che impose non solo la riqualificazione ambientale di un sito che confina con il parco regionale ma anche una costosa e futuristica riconversione industriale. In pratica la trasformazione in una miniera delle due cave a cielo aperto.


 

Una miniera che si presenta oggi a tre livelli ed è formata da quattro gallerie di cui già due sono operative e coprono il fabbisogno estrattivo annuale di 300mila mc, tetto massimo imposto dall’accordo. Vere e proprie cattedrali scavate nel ventre del Murano ideate per estrarre la roccia su tre piani sfalsati. È da lì che il materiale ottenuto con mine e martelli pneumatici fa un salto di cento metri e si riversa sul piano terra dove è raccolto e messo su camion che, in futuro, saranno sostituiti da nastri trasportatori. Un sistema di cameroni che, una volta sfruttati e dunque del tutto svuotati, saranno lunghi 450 metri, larghi 30 per un’altezza di 106 metri. Per il momento, le mega gallerie collegate da una rampa interna elicoidale sono servite da una fitta rete di strade interne, illuminate, per un totale di 8 km. Il tutto alimentato da cogeneratori a metano che producono anche il calore che serve per la trasformazione. Un complesso che dovrebbe soddisfare i bisogni estrattivi della società per altri 35 anni.


Pertanto adesso niente più rumori di esplosioni e polveri sono ridotte al minimo. Tutto si fa dentro o vicino alla montagna, mentre fuori si lavora sulla mitigazione del vecchio fronte di scavo. Le stradine scavate nella roccia sono riempite dal terriccio e la piantumazione è già iniziata partendo dall’alto. Addirittura, la società sta attenuando il bianco accecante delle pareti con un colorante naturale che le tinge di grigio.

Una sfida costata decine di milioni nata dalla riflessione “sulla vita del masso” avviata dalla società: dalla “volata”, l’esplosione cioè, alla raccolta con l’obiettivo di superare la banale frantumazione inserendo due impianti di micronizzazione che fanno di questa cava serrana un impianto che, oltre a rifornire il settore edilizio, lavora oggi per la cosmetica, l’alimentazione per gli animali, il mondo delle vernici, del vetro e dell’elettronica e dà lavoro a 70 persone. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico