I figli tutti Ronaldo, i genitori tutti Mancini: lettera ai papà ultrà che lanciano insulti come pietre

I figli tutti Ronaldo, i genitori tutti Mancini: lettera ai papà ultrà che lanciano insulti come pietre
Che piacere proverà un padre di famiglia a insultare un ragazzino in campo che sta solo cercando far vincere la propria squadra? Avrà raggiunto il suo -...

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Che piacere proverà un padre di famiglia a insultare un ragazzino in campo che sta solo cercando far vincere la propria squadra? Avrà raggiunto il suo - incomprensibile - scopo quando quel ragazzino, denigrato e sbeffeggiato dagli spalti, entrando negli spogliatoi con gli occhi gonfi di lacrime si lascerà andare ad un pianto amaro per quelle parole che gli rimbomberanno nel cuore e nell'anima per chissà quanto tempo?

È accaduto ad un tredicenne della Nuova Folgore che giocava contro l'Aurora Jesi, società nata e cresciuta tra le reti di un oratorio grazie a don Roberto Vigo e dove il Ct della Nazionale Roberto Mancini ha tirato i suoi primi calci ad un pallone. Per dire. Gli insulti razzisti sono stati lanciati come pietre in campo: senza pietà. «Sei nero, sembri una scimmia». Di colore come Pelè, insomma. Come Weah, Leao, Osimhen, Mbappè, Koulibaly, Manè. Dobbiamo continuare?

 «Sei nero, sembri una scimmia». Vergogna. Vergnognatevi tutti, voi che il sabato o la domenica accompagnate i vostri figli al campo sportivo e li scortate in panchina come fossero piccoli Ronaldo, poi vi sedete in tribuna e vi trasformate in ultrà della peggiore specie, nemmeno steste guardando una partita di Champions o la finale dei Mondiali. Una volta ho visto un giovanissimo calciatore uscire dal campo in lacrime e puntare dritto contro la tifoseria avversaria che gliene aveva dette di ogni fino a qualche secondo prima: «Ma che problemi avete? - ha urlato contro quei genitori ultrà - Potrei essere vostro figlio, ho 16 anni, che cavolo!». Tutti zitti, codardi. Bravo lui, che è riuscito a scrollarsi di dosso gli insulti e a rispondere senza paura.

Ora si dirà: è il calcio, bellezza. Ma anche no. A questa età, certi riprovevoli insulti si tatuano sulla pelle e il rischio è che una volta adulti, andando allo stadio, li ripetano facendoli passare come fossero innocui sfottò. A 13 anni certe ferite bruciano, e fanno piangere. Sì, piangere. Perché anche se il fisico può ingannare, si è ancora poco più che bambini. Si cerca l'abbraccio della mamma, il conforto del papà. E quei genitori un giorno potreste essere voi, che ora sugli spalti fate i bulli. Tutti super allenatori, tutti procuratori di piccoli Maradona in erba. Riflettete, riflettiamo.

 

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Corriere Adriatico