JESI - Nell’autunno del 2015 era stato arrestato dai carabinieri perché trovato in casa con una serie di piantine di cannabis e infiorescenze messe ad essiccare....
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Insomma, aveva sostenuto il consumo personale e l’insussistenza del reato di spaccio, basandosi anche sul fatto che la cannabis è ritenuta una pianta sacra per i Veda, testi su cui si basa l’Induismo, religione a lui vicina. A oltre tre anni da quell’arresto, l’uomo dovrà affrontare un altro processo. Questa volta, la procura dorica gli contesta un reato da sempre al centro delle discussioni relative ai principi di costituzionalità e al diritto della libertà di pensiero del cittadino. Si tratta dell’articolo 403 del codice penale, ovvero “offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone che la professano”. Per questa contestazione, il 50enne è stato rinviato a giudizio dal gup Paola Moscaroli. Difeso di fiducia dall’avvocato Moreno Giaccaglia, lo jesino dovrà affrontare il processo il 9 gennaio 2020 davanti al giudice monocratico Alberto Pallucchini. La pena massima per questo tipo di reato prevede una multa di 6mila euro e non la detenzione.
L’uomo è finito nei guai per delle esternazioni sulla sua pagina Facebook nell’ottobre 2017. In una sola occasione, stando alle accuse, si sarebbe accanito contro la religione cattolica e i suoi simboli più sacri, prendendosela anche con i santi. Per farlo, sempre secondo la ricostruzione della procura, avrebbe scelto due vie: sia la trasfigurazione di immagini sacre, sia scrivendo frasi blasfeme.
In pratica, avrebbe sfregiato attraverso delle caricature le effigi dei santi e dei simboli della religione cattolica, applicando anche delle parole sacrileghe a supporto delle immagini postate. Le invettive passate sotto la lente della magistratura non hanno nulla a che fare con il demonio o la magia nera. Erano stati i carabinieri ad intercettare le pubblicazioni fatte via social. Non sono stati scelti riti alternativi per il giudizio, perché è durante il dibattimento che la difesa mira a smontare le accuse mosse dagli inquirenti e veicolate in un articolo del codice penale che raramente risuona nelle aule di tribunale. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico