«Conoscevo Emma da mezzo secolo L’omicidio? Non sono io il colpevole»

«Conoscevo Emma da mezzo secolo L’omicidio? Non sono io il colpevole»
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ANCONA - «Non ho mai avuto modo di porgere le mie condoglianze alla famiglia Vichi. Conoscevo Emma da 50 anni, eravamo vicini di casa. Mi ritrovo in questa situazione a 58 anni, ma non sono colpevole di quanto mi si accusa. Tutt’al più posso rispondere solo della ricettazione. Quello che è accaduto non è colpa mia». Parole, pensieri e dichiarazioni d’innocenza di Maurizio Marinangeli, il chiaravallese finito a giudizio con l’accusa di aver accoltellato a morte e rapinato l’85enne Emma Grilli, sua vicina di casa. 


 

L’imputato ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee ieri mattina davanti ai giudici della Corte d’Assise prima che si procedesse all’audizione dei testimoni. Magrissimo dentro a un pullover blu, piantonato a vista dagli agenti della Penitenziaria, con voce flebile ha avvicinato il microfono per ribadire che non lui è il killer dell’anziana, trovata senza vita dal marito Alfio Vichi la mattina del 17 luglio 2018. 

Marinangeli, accusato di omicidio premeditato, rapina aggravata e ricettazione (per aver venduto i gioielli della vittima a un Compro Oro di Falconara) ha assistito all’udienza ripresa dalla telecamere di Un Giorno in Pretura stando accanto ai difensori Emiliano Carnevali e Raffaele Sebastianelli. 

Il primo a deporre è stato proprio il marito della vittima, parte civile al processo assieme ai figli e al cognato. A 91 anni ha dovuto ripercorrere gli attimi di quel tragico giorno, quando lui ed Emma erano usciti di casa per commissioni differenti. Lei doveva andare a ritirare le analisi in ospedale. Lui dal dottore e a comprare il pane. A metà mattina, Alfio era tornato nell’appartamento al terzo piano di Verdi. Sapeva che la moglie era già rincasata. «Appena entrato – ha ricordato il 91enne – ho visto Emma in cucina, con la testa dentro il lavandino. L’ho afferrata da dietro e l’ho messa a terra. Non ho capito subito cosa era successo. Solo dopo, ho visto che aveva un taglio alla gola. Ho chiamato i miei figli e il 118». In aula, su richiesta del pm Paolo Gubinelli, è stata fatta sentire la registrazione con cui Alfio aveva lanciato l’allarme: «Aiuto, mi chiamo Alfio Vichi. Mia moglie è morta. L’ho trovata con la testa nel lavandino. È morta, è morta». Stroncata da 11 fendenti scagliati con un coltello da cucina da un killer che poi si era impossessato di quattro monili in oro, tra cui la fede portata al dito e una collanina con tanto di medaglietta, rivenduti per 400 euro. «Non siamo mai stati ricchi – ha continuato l’anziano – ma ce la siamo sempre cavata. A Chiaravalle o nel palazzo, mai un problema con nessuno. Prima di quel giorno non sapevo neanche dove fosse la caserma dei carabinieri. Non mi aspettavo potesse accadere una cosa del genere. Quel giorno non avevo notato nulla di strano. Chi aveva le chiavi dell’appartamento? Io, mia moglie e i figli. Mi ero sempre raccomandato con Emma di non aprire a nessuno. Era una donna impagabile».


Sulla porta di casa, i carabinieri non avevano trovato segni di scasso: Emma ha aperto al suo assassino. «Mi ha fatto le condoglianze? Le accetto e ringrazio – ha detto il 91enne fuori dall’aula - ma nulla riporterà indietro Emma. Chi l’ha uccisa spero che paghi, devi farsi 30 anni di carcere». Dopo l’anziano sono stati sentiti altri testimoni dell’accusa. Sull’imputato, affetto da ludopatia e rinchiuso da oltre un anno a Montacuto, verrà effettuata una perizia psichiatrica. Il processo proseguirà venerdì. La perizia psichiatrica, richiesta nelle precedenti udienze dagli avvocati difensori, è finalizzata a valutare se al momento dei fatti contestati dalla procura Maurizio Marinangeli era capace di intendere e di volere.  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico