Che fare? Battere i piedini per terra lacrimando forte? Puntare il dito contro il (presunto) cattivo e urlare: «Cattivo! Cattivo! Cattivo!»? Fingere d'essere nati ieri e di ignorare come va il mondo, come funziona il mercato, le strategie di un'azienda nelle varie fasi del suo sviluppo, e rotolarsi a terra inconsolabili? O prendere atto della realtà e cercare alternative? Un articolo pubblicato su Wired.it il 26 dicembre illustrava la tesi: “Perché su Netflix vedremo serie sempre più brutte”. Titolo un po' esagerato rispetto al contenuto del pezzo, e d'altro canto un titolo deve incuriosire il potenziale lettore. In sintesi, l’autrice - Angela Watercutter, non una ingenua Alice in Wonderland né una frignante sbattipiedini - partiva dall’analisi dei dati relativi alle ore di visualizzazione dei singoli prodotti presenti sulla piattaforma, dati resi pubblici da Netflix per la prima volta. In testa una serie - “The Night Agent” - da Watercutter ritenuta non brutta ma derivativa, mentre produzioni più originali han fatto registrare risultati deludenti.
Da cui la conclusione, previsione facile: stante il danno economico subito a causa dello sciopero di attori e sceneggiatori, stante l’accresciuta competizione nel settore dello streaming, Netflix preferirà puntare su prodotti sicuri, lo spazio per le serie più innovative e dunque rischiose è destinato a ridursi. Pochi giorni fa, due notizie che suonano a conferma. Netflix ha rifiutato di produrre una serie animata ideata da David Lynch e ha cassato il progetto, in avanzata fase di sviluppo, del nuovo film di Kathryn Bigelow: “Aurora”, thriller fantapolitico da un romanzo di David Koepp. Netflix che, negli ultimi anni, era diventata una sorta di paradiso per autori conclamati, Sorrentino incluso. Netflix che rilevava, senza tirar sul prezzo, il film più personale di Alfonso Cuarón, “Roma”, Leone d’oro 2018, ma non certo un film da grande pubblico. Che dava sull'unghia 200 milioni, forse 250, a Scorsese per "The Irishman". E 175 a David Fincher per “The Killer”. Cifre fuori mercato che la compagnia sborsava no problem: per acquisire prestigio. Buon per chi s'è goduto le vacche grasse, ma la festa non poteva durare.
Leggo da più parti: «Netflix non ama più il cinema d’autore».
Uno che non ha mai preso la tessera di Lagna Continua. E che a tanti di noi ha aperto gli occhi sugli infiniti cinema possibili. Aprà che per tutta la vita è andato a scovare i film più incredibili, più sperimentali spericolati, negli angoli più remoti del globo, nelle pieghe più nascoste d’ogni cinematografia. Aprà che da direttore artistico della Mostra di Pesaro imbottiva il programma di film d’ogni durata e d'ogni formato. Di documentari, purché soggettivi e giammai oggettivi, ed erano gli anni Novanta e per non pochi cinefili il documentario era un genere di Serie B, tolto quel pugnetto di nomi illustri. Aprà che, mano sul fuoco, non si metterebbe le mani nei capelli perché: «Oddio, Netflix taglia le opere d’autore». Vi piacciono film e serie realizzati, in modo impeccabile, sotto la supervisione dell’algoritmo? Netflix continuerà a fare al caso vostro. Preferite altre immagini, magari del tutto «fuori norma» come le voleva Aprà? Le troverete altrove. Basta cercare.
*Opinionista e critico cinematografico