Attesa per Piotta sul palco a Tolentino
torna dal vivo con il disco “Interno 7”

Il rapper romano Piotta
Il rapper romano Piotta
di Andrea Maccarone
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Domenica 2 Giugno 2019, 17:24
TOLENTINO -Un nuovo album più intimista e profondo. Piotta torna dal vivo con il disco “Interno 7”, un lavoro in cui affronta con piglio decisamente più maturo gli stravolgimenti e le evoluzioni della vita. Oggi, domenica 2 giugno, alle ore 21,30 il rapper romano si esibirà a Tolentino, Contrada Rancia, nell’ambito dello Strike Up Festival.
Quanto è cambiata la sua musica nel tempo?
«Io credo che la musica che ogni artista, compone, scrive e canta, faccia da colonna sonora alla vita di chi la ascolta, ma anche alla propria. E mi piace vedere che la musica cresca insieme all’artista. Io cerco di raccontare la mia età, come ho fatto in passato. E se i testi prima erano più ironici e solari, oggi è chiaro che abbiano una profondità diversa».
Il rap è passato da genere di protesta a musica di massa?
«Sono d’accordo in parte sul fatto che sia un genere di protesta, perché lo è stato solo in alcuni episodi. Il rap nasce nel Bronx durante gli anni ‘80, ed era il riscatto di una generazione rispetto alla vita dura che affrontavano in quel quartiere di New York. Nel tempo ha assunto contorni meno duri, ed è riuscito a conquistare le classifiche e il pubblico di massa».
La schiettezza, anche nei testi delle canzoni, paga sempre?
«Per quanto riguarda il rap sicuramente sì, perché utilizzare un linguaggio diretto e non aulico crea molta empatia con il pubblico di ascoltatori. E in questo caso parliamo di giovani che si identificano con il linguaggio di cui loro stessi fanno uso. E poi succede che molti ascoltatori, a loro volta, diventano rappers».
Una spinta maggiore dal vivo con la band sul palco?
«Sono 10 anni che mi esibisco con la band, e lo show è cresciuto tantissimo. Ed ha aiutato anche me a crescere dal punto di vista compositivo e canoro. Lo spettacolo ha senza dubbio una marcia in più, e l’uso degli strumenti live riesce ad evidenziare meglio certe sfumature che traspaiono dai testi. E poi, affrontando un repertorio lungo 20 anni, si evita l’effetto compilation».
Si sente più cantautore o più rapper?
«Non è una differenza che ho mai sentito molto, perché il rapper è anche un cantautore. Non ho mai visto queste due figure in modo dicotomico. Si tratta solo di affrontare diversamente un linguaggio. Il rapper è sicuramente più sfrontato e con meno citazioni letterarie. Me è pur sempre autore dei propri testi».
Come ci si sente ad essere considerati una colonna portante dell’old school?
«Onestamente non mi sento né profeta, né discepolo. Ma neanche un generatore di copie o padre di nessuno. Per quanto mi riguarda ho sempre cercato una formula originale e personale. A volte è andata bene, altre peggio. Di certo, se la moda impone una via, io vado dall’altra parte».
Cosa pensa di questa nuova generazione di cantautori, rapper e trapper?
«In alcuni mi ci rivedo, in altri no. Oggi, soprattutto tra gli artisti più giovani, c’è questa ostentazione del dio denaro che io non condivido. Il fine ultimo deve sempre rimanere l’arte».
Ma c’è qualcuno con cui vorrebbe collaborare?
«Mi piace molto Franco126. Il suo modo di scrivere è davvero molto interessante. Sa da una chiacchierata nasce un’empatia, perché no».
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