Elio De Capitani con “Moby Dick alla prova” da giovedì a domenica alle Muse di Ancona: «La follia di Achab e Lear»

Elio De Capitani con “Moby Dick alla prova” da giovedì a domenica alle Muse di Ancona: «La follia di Achab e Lear»
Elio De Capitani con “Moby Dick alla prova” da giovedì a domenica alle Muse di Ancona: «La follia di Achab e Lear»
di Lucilla Niccolini
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Lunedì 13 Febbraio 2023, 03:50 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 16:52

Tinte corrusche e metalliche, un telo grigio che si gonfia e ondeggia sullo sfondo, fino a coinvolgere nel suo movimento ritmico i personaggi in scena, alcuni dei quali col volto alterato da maschere. Il delirio, l’ossessione di Achab invade il palcoscenico con “Moby Dick alla prova”, il dramma di Orson Welles, che Elio De Capitani porta alle Muse di Ancona da giovedì (ore 20,45) a domenica (ore 16,30).

 
Interprete e regista, Elio De Capitani, di questa nuova produzione del teatro dell’Elfo, con lo Stabile di Torino, da quando ci lavora?
«L’idea è precedente alla pubblicazione in italiano del testo di Welles. Il lockdown ha causato ritardi, ma al tempo stesso ci ha consentito di lavorare con calma al progetto. In teatro, a Milano, siamo stati per mesi chiusi come in una bolla, da mattina a sera: una sorta di ritiro spirituale, da cui sono nate ben sette produzioni che ci accompagneranno fino al 2025. Una montagna di debiti, ma abbiamo utilizzato quel tempo, vuoto di pubblico, per dare lavoro a tecnici e attori».
Ci parli della versione teatrale del capolavoro di Melville, firmata e messa in scena da Welles.
«Lui parte da un pretesto iniziale, una rappresentazione del “Re Lear”. Gli attori di riuniscono per provare il capolavoro di Shakespeare, ma subito dopo prende piede l’idea di “virare” sulla follia di capitano Achab, che per l’autore è evocatrice della pazzia di Lear. I due personaggi sono legati dall’incapacità di rinsavire con l’età. . E inevitabilmente la figlia Cordelia, interpretata dalla strepitosa Giulia Viana, diventa il piccolo Pip, il “fool” di Achab. Ma non basta, c'è un valore aggiunto».
Quale?
«Un taglio lirico, che Welles sa dare alla storia di Melville, con l’uso del verso scespiriano. Ne fa qualcosa che assomiglia a una tragedia greca. E la ciurma commenta la follia di Achab come se fosse un coro ateniese, che si chiede, con il marinaio Ismaele, il narratore, l’unico superstite: come mai abbiamo aderito a questa pazza impresa? L’odio di Achab è diventato il nostro».
Un’adesione dissennata, integralista, al proposito di combattere un nemico a ogni costo?
«Come in Re Lear, la regione vacilla, e anche chi, come l’equipaggio, sulle prime resiste alla tentazione, alla fine va incontro a un’ineluttabile rovina».
Un messaggio politico?
«Melville voleva mettere in guardia l’America dai rischi di una visione oscura. Welles fa di più: rende Achab simile a Kurtz di “Cuore di tenebra”, ne fa un eroe epico negativo».
Qual è la lezione che ancora oggi i giovani possono trarre da questo testo?
«Duplice: da una parte, l’attrazione fatale per le esperienze estreme, rischiose, ma che, in giro per il mondo, ti portano a scoprire chi sei veramente. E poi, una lezione ecologica. Cristina Crippa, che qui interpreta un ruolo minore, ha creato, nel dramma, una piccola digressione, che ci fa conoscere, sulla scorta di più recenti scoperte, come vivono i capodogli, la loro intelligenza e il senso della maternità. Già Melville aveva intuito il rischio di estinzione di questi mammiferi, per fortuna sventato, nel frattempo, dalla scoperta dell’elettricità, che ne ha reso meno lucrosa la mattanza. E alla fine, Moby Dick compare in scena».
Possibile?
«Con l’espediente del telo, che simula la tempesta, in una scenografia che evoca, con macchine e attrezzi, la ferocia gelida dello sfruttamento delle bestie a uso industriale». 

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