Il rapper Willie Peyote al Mamamia di Senigallia presenta il nuovo album “Pornostalgia”: «È naturale voltarsi indietro»

Il rapper Willie Peyote
Il rapper Willie Peyote
di Andrea Maccarone
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Venerdì 17 Giugno 2022, 12:39 - Ultimo aggiornamento: 15:03

SENIGALLIA - Il rap di Willie Peyote domani sera farà tappa al Mamamia di Senigallia. L’artista torinese è atteso sul palco alle 22,30 per presentare il nuovo album del titolo “Pornostalgia”.
Willie, a scanso d’equivoci: cos’è la “pornostalgia”?

 
«Con questo termine ho voluto inquadrare un sentimento molto diffuso, ovvero quella sensazione di autoprotezione che si prova quando ci si rifugia nel passato. Un qualcosa che ho ritrovato nelle produzioni artistiche di molti». 


Non nella sua? 
«Personalmente no, mi trovo più a mio agio proiettato nel futuro. O nel presente. Ma credo sia naturale guardarsi indietro e pensare a quanto si stesse meglio prima, dopotutto abbiamo passato due anni difficili».
Ma arrivato al quinto disco verrebbe spontaneo guardarsi alle spalle. No? 
«Sì, ogni tanto mi capita. Cerco di analizzare il percorso fatto fino ad ora e capire dove andare dopo, proprio perché sono proiettato in avanti. Appena un disco è pubblicato non è più proprietà dell’artista, ma di chi lo ascolta. Quindi penso solo a cosa potrei migliorare».
In questo disco compaiono varie collaborazioni. Come ha scelto gli artisti con cui lavorare? 
«Molti sono amici con cui ho avuto modo di confrontarmi di persona sui temi trattati nell’album. Ad esempio con Samuel (Romano dei Subsonica, ndr) o Aimone (Romizi dei Fast Animals and Slow Kids, ndr) ho condiviso momenti di riflessione. Per gli altri, invece, vale la stima artistica che nutro verso di loro».
Nel brano “Fare schifo” parla della libertà di fallire. In che senso?
«È un diritto che dobbiamo a noi stessi, in contrapposizione alla pressione di dover essere sempre perfetti. Non trovo che abbia senso concentrarsi solo sul vincere, ma bisogna allenarsi anche alle sconfitte che inevitabilmente arriveranno nella vita. E bisogna affrontarle senza paura». 
In questo c’entra anche l’immagine che proiettiamo di noi stessi sui social? Lei che uso ne fa?
«Sicuramente chi utilizza molto i social entra in una forma di competizione con il resto della comunità virtuale. Io, in realtà, li uso solo a fini artistici per promuovere la mia musica o per restare in contatto con i fan. Credo di avere un rapporto sano con i social e di solo scopo lavorativo».
Mentre nel brano “All you van hit” sostiene che per lei la musica è un’osteria. Ovvero? 
«Ovviamente il titolo è una storpiatura di all you can eat, quei posti dove puoi mangiare quanto vuoi a prezzi popolari. Con questo faccio riferimento alla bulimia musicale in cui è piombato il mercato, dove c’è un consumo veloce e a prezzi stracciati. Quindi mi piacerebbe che la musica fosse una sorta di osteria, qualcosa di altrettanto economico ma più vero e autentico».
Dunque al passato lei preferisce il futuro. Su cosa è proiettato?
«Sto attraversando un momento di transizione in cui è difficile tirare le somme, ma sostanzialmente sono proiettato su nuova musica. Per scrivere ho bisogno di guardarmi intorno e captare il sentire collettivo». 
Dopo due anni di pandemia, come ha vissuto il ritorno alla musica dal vivo senza restrizioni?
«Sono molto contento. È stato davvero strano esibirsi davanti a delle platee sedute.

Spero che anche la gente abbia la stessa voglia di tornare a condividere la musica dal vivo. Tra l’altro il mio concerto è molto fisico. Sul palco cerchiamo di proporre una musica che faccia muovere oltre che ragionare».

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