«Il santo è tra i poveri di oggi». Celestini nei panni di Francesco d’Assisi in “Rumba” sabato a teatro a Grottammare

«Il santo è tra i poveri di oggi». Celestini nei panni di Francesco d’Assisi in “Rumba” sabato a teatro a Grottammare
«Il santo è tra i poveri di oggi». Celestini nei panni di Francesco d’Assisi in “Rumba” sabato a teatro a Grottammare
di Chiara Morini
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Mercoledì 17 Aprile 2024, 04:00 - Ultimo aggiornamento: 12:55

Ascanio Celestini racconta l’uomo, quello nascosto, che solitamente non ha voce con “Rumba. L’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato” in scena sabato, 20 aprile, alle ore 21 al Teatro delle Energie di Grottammare.

La trilogia

Rumba è il terzo titolo di una trilogia di Celestini, partita con Laika e proseguita con Pueblo. «Rumba – spiega l’artista – nasce dall’improvvisazione di uno dei personaggi di cui parlo nello spettacolo: Santa Chiara, che non è subalterna né a Francesco né alla Chiesa, ma persona straordinaria. Ho pensato alle donne della guerra di Spagna, ad “Aj Carmela” uno dei canti della resistenza che dice a un certo punto “rumba la rumba la rumbambà”». L’ambientazione è quella di un quartiere, popolato da persone che vivono in un palazzo di fronte a un supermercato. Questa gente, che lavora in un magazzino, attraversa il parcheggio per andare a fare la spesa e, spiega Celestini, «aspettano l’arrivo dei pellegrini. Nell’attesa preparano il racconto della vita di Francesco e del presepe di Greccio, in cui ci sono solo il bue, l’asino e la mangiatoia. San Francesco voleva mostrare la nascita di Cristo in mezzo alla povertà». Questo fa di San Francesco una figura molto attuale. Sottolinea infatti l’artista romano: «Sì è molto attuale, si pesi all’Ucraina, alla Russia, alla situazione nel Medio Oriente, il pezzo di terra per il quale Francesco diceva che non vale la pena di combattersi».

Le storie

Difficile raccontare storie come questa oggi? «Tutti – aggiunge Celestini – ricordiamo i buoni principi, ma poi nel presente si va nella direzione opposta.

Se oggi San Francesco tornasse fra noi, probabilmente non direbbe nulla di diverso da quello che diceva allora. Lui predicava lo spirito cristiano anche con i soldati che chiamava “infedeli”, che dovevano essere serviti dai suoi frati. Quando la chiesa ha riconosciuto la sua regola, lui disse “seguitela alla lettera senza interpretazioni”. Non importa il messaggio, perché lui è attuale. Quel che conta è che le cose, le storie, vanno conosciute, non interpretate». Quanto alle storie, raccontarne e fare teatro di narrazione è il suo pane quotidiano e per lui non conta quando ha iniziato o ci si è appassionato, ma perché. Celestini spiega: «Io credo che chi scrive e interpreta storie deve raccontare l’essere umano. Quello che non può mostrarsi. Un presidente del consiglio (qui nessuno in particolare) può mostrarsi o nascondersi come vuole. Un detenuto o un paziente psichiatrico, invece, non si può nascondere. Mi piace e mi interessa l’essere umano così com’è, preferisco una prostituta piuttosto che un personaggio noto. L’artista deve illuminare dove non c’è la luce, come, ancora per esempio, un facchino eritreo. Mi interessa l’aspetto antropologico». E se gli chiedete quale storia ancora non ha raccontato ma vorrebbe lui risponderà semplicemente «tante e nessuna. Io racconto sempre le stesse. Un esempio? Il quartiere di Quadraro a Roma, da dove provengo, fu oggetto di un grande rastrellamento nel 1944 (il 17 aprile, esattamente 80 anni fa). Ho intervistato un sopravvissuto chiedendogli perché non avesse tirato fuori la storia. E lui ha detto “l’ho raccontata tante volte, ma ero solo un elettricista”».

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