I porti ostaggio di Suez, il presidente dell’Authority Garofalo: «Lo scalo di Ancona? Se la crisi continua la paghiamo anche noi»

I porti ostaggio di Suez, il presidente dell’Authority Garofalo: «Lo scalo di Ancona? Se la crisi continua la paghiamo anche noi»
I porti ostaggio di Suez, il presidente dell’Authority Garofalo: «Lo scalo di Ancona? Se la crisi continua la paghiamo anche noi»
di Martina Marinangeli
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Martedì 16 Gennaio 2024, 03:15 - Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 07:37

ANCONA Il butterfly effect applicato alla crisi nel Mar Rosso. L’instabilità geopolitica nello Yemen e nel Medio Oriente generata dal conflitto a catena che si è sviluppato negli ultimi mesi, investe come in un sinistro effetto domino anche i porti italiani, quello dorico compreso. Gli scali del Bel Paese stanno facendo i conti con i contraccolpi causati dall’escalation militare ai traffici delle merci tra Europa e Oriente. Nell’ultima settimana il canale di Suez che collega il Mar Rosso al Mediterraneo ha visto un crollo dei passaggi delle navi e i loro container del 35-40%. Percentuali che, almeno per il momento, collidono in maniera marginale con l’infrastruttura anconetana. 

Le prospettive

Guarda al quadro generale Vincenzo Garofalo, il presidente dell’Autorità di sistema portuale, quando spiega che «il nuovo fronte di crisi, conseguenza dell’attacco aereo di Stati Uniti e Gran Bretagna contro le posizioni militari Houthi, in risposta agli assalti dei ribelli alle navi in transito nel Mar Rosso, è interessato dai traffici mediorientali. Il nostro porto è concentrato, invece, sui movimenti dei Balcani».

Un altro punto, secondo Garofalo, per ora ci starebbe mettendo al riparo dalle fibrillazioni del conflitto: «Non siamo un hub, come lo è Trieste. Noi lavoriamo anche con i container, ma non solo». Diversi i target e diverse le declinazioni delle attività portuali. Ma la preoccupazione c’è anche alle latitudini doriche, inutile negarlo. «Il rischio è che, se dovesse prolungarsi questa situazione di instabilità, rallenterebbe tutto, si ridurrebbero gli scambi a livello globale, impattando anche su di noi».

La geografia di guerra

Con il Mediterraneo e, come logica conseguenza, l’Adriatico tagliati fuori dalle rotte internazionali a causa del blocco dello stretto di Suez inizierebbero a scarseggiare le materie prime, i trasporti diventerebbero un’impresa facendo schizzare i costi alle stelle.

Un quadro critico che si spera di evitare, ma che comunque tiene con il fiato sospeso e con gli occhi sempre puntati sul Medio Oriente in fiamme. «La preoccupazione - osserva Garofalo - nasce dal fatto che l’economia globale è in balia di conflitti che generano incertezza. Da oltre un anno riflettiamo su come non essere più prigionieri dei conflitti che scoppiano in certe zone del mondo». Ragionamento iniziato con il conflitto russo-ucraino e che ora ritorna come drammatico leitmotiv di guerra. «Situazioni che ci coinvolgono a livello di coscienza - fissa le coordinate il presidente dell’Authority dell’Adriatico centrale - ma che hanno effetti economici negativi a causa delle politiche di delocalizzazione portate avanti per decenni. Ora capiamo come non sia stata una giusta decisione».

Ma come si esce da una situazione di crisi internazionale di questo livello? Come ci si mette al riparo? Garofalo abbozza una ricetta: «Quest’ultimo inasprimento della scena internazionale dovrebbe incitare l’Europa a compattarsi, a rendersi più autonoma e autosufficiente almeno sui beni primari. Altrimenti di fronte a questi blocchi diventiamo passivi».

Il sistema-mondo

Dinamiche che vanno ben oltre i confini del porto di Ancona: «Noi subiamo gli effetti delle crisi senza poter prendere le decisioni. Ma nella strategia di un’Europa più coesa ed autonoma, Garofalo intravede un potenziamento delle rotte balcaniche e di conseguenza dello scalo marittimo dorico: «Il nostro piano di sviluppo non può e non deve prescindere da queste prospettive». Nel frattempo, però, la crisi di Suez, con i continui attacchi ai convogli commerciali da parte del gruppo armato yemenita degli Huthi e l’operazione anglo-americana contro le postazioni dei ribelli rischia di mandare in debito di ossigeno il sistema del Mediterraneo e dell’Adriatico. E all’orizzonte fa capolino anche un’altra conseguenza dell’instabilità mediorientale: il probabile aumento del costo del petrolio, con ripercussioni immediate sui costi dei carburanti e la benzina di nuovo alle stelle. Il butterfly effect, appunto.

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