Marcello Trappolini, una vita su due ruote: «Ho girato il mondo con la mia Vespa»

Marcello Trappolini, una vita su due ruote: «Ho girato il mondo con la mia Vespa»
Marcello Trappolini, una vita su due ruote: «Ho girato il mondo con la mia Vespa»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 4 Febbraio 2024, 08:05 - Ultimo aggiornamento: 12:08

Quando sale sulla sua Vespa, non è solo il motore a fare rumore. È anche il suo cuore, che batte all’impazzata per tutto quello che è successo e che potrebbe ancora succedere, perché le strade del mondo sono infinite così come le avventure a cui conducono. Chilometri e chilometri di selciato attraverso la gioia, l’adrenalina, l’attenta pianificazione e le sorprese che ogni escursione regala, quando si sale in sella e ci si affida a quello che sarà. Di sensazioni così il cammino del civitanovese Marcello Trappolini è costellato, come un puzzle della meraviglia in cui ogni tessera racconta dei suoi lunghi viaggi tra lEuropa e le Americhe, di una sete implacabile di movimento e di una necessità che è la cifra costante della sua vita: mettersi in moto per non fermarsi mai, per sentirsi vivi. Il motore del cuore si scalda e parte, appena la memoria gira la chiave dei ricordi. 


 
L’album 


Nell’album di Marcello i mezzi sono una costante, a partire da «quelli che da piccolo costruivo assieme ai miei amici della nativa Filottrano, quando eravamo talmente poveri che i giochi non c'erano e bisognava inventarseli - ride - stava tutto alla nostra fantasia e la mia approdava sempre lì», al brivido di una velocità che accarezza il viso e scompiglia i capelli. A regalare quelle sensazioni, da bimbo degli anni Cinquanta, «erano i carrozzoni, i monopattini, gli slittini che con i miei amici costruivamo con i materiali più disparati. Assemblavamo il tutto e via a sfidare ogni discesa», confessa orgoglioso.

L’amore per le sfide, però, ben presto si allarga e, a macchia, dilaga anche nella giovinezza, quando la velocità Marcello la sfida sulle piste da motocross, «a bordo della mia Ape, con mio padre Armando seduto al mio fianco a farmi da copilota - ricorda - per sette anni ho girato mezza Italia tra circuiti e gare. Ho tagliato traguardi importanti e superato sfide impegnative, raggiunto da offerte allettanti da parte di parecchie scuderie ma a casa, tra i miei genitori, i loro cinque figli, i miei nonni paterni e uno zio non sposato eravamo dieci persone e se avessi abbandonato il lavoro di taglialegna al fianco di mio padre, non avremmo più avuto di che mangiare. È stata una scelta obbligata, ma finché ho potuto ho corso e mi sono divertito da matti», confessa.

Tra una risata e un sospiro, Marcello ingrana la marcia e via via preme l’acceleratore delle emozioni. È cominciata così ogni sua avventura in giro per il mondo, preceduta solo dal rituale dolce di una carezza e un bacio.

A riceverli erano sempre lei, la sua inseparabile Vespa Piaggio 125 PX color rosso fiammante, compagna di avventure dal 1984: «Si chiama Emma, come la barca con cui Garibaldi naufragò a fine carriera, dopo 25 anni di navigazione e avventure per tutti i mari. La sua sorte, però, è ben diversa: con lei ho girato il mondo. E non è solo un modo di dire, sulla sua sella ho attraversato tutta l'Europa e mi sono spinto addirittura oltreoceano, esplorando l'America da nord a sud. Tutto è cominciato nel 2010, in una notte in cui, dopo la pensione e i tre anni da nonno a tempo pieno, mi sono detto: «vedo tutte le mie moto e parto con Emma per girare l’America. L’indomani mattina ho chiamato mia figlia per metterla al corrente di quella decisione e tutto è iniziato. Per cinque anni di fila ho organizzato un viaggio all’anno, toccando il Perù, la Bolivia, il Cile, il Venezuela, il Messico e gli Stati Uniti. Io partivo dall'Italia in aereo e Emma viaggiava in nave: ci ricongiungevamo sull'altra sponda all’Atlantico e partivamo in esplorazione, macinando una media di 350 chilometri al giorno.

Strade mozzafiato, panorami che hanno riempito occhi e cuore, verdi praterie, distese di ghiaccio e torridi deserti, caldo atroce e freddo penetrante: attraverso ogni condizione, siamo andati sempre avanti. Non ci ha mai fermati nessuno, neanche la banda di narcotrafficanti che in Messico ci ha trattenuti per tre giorni. Ricordo ancora il loro capo, una montagna di muscoli e piglio da duro: notò la bandiera italiana sulla mia Emma e, capito che cosa stavo facendo, mi disse di montare la tenda e rimanere con loro fino a ordine diverso. Il pomeriggio del terzo giorno arrivò il via libera: smontai Emma pezzo per pezzo e la rimontai oltre la barriera di cinque camion pieni di pietre che avevano costruito all’ingresso dell’accampamento, partendo immediatamente a opera finita».
 

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