L’assessore di Fermo Mariantonietta Di Felice: «La cicatrice di nonna Ginevra e il morso della strega»

L’assessore di Fermo Mariantonietta Di Felice: «La cicatrice di nonna Ginevra e il morso della strega»
L’assessore di Fermo Mariantonietta Di Felice: «La cicatrice di nonna Ginevra e il morso della strega»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 14 Aprile 2024, 04:30 - Ultimo aggiornamento: 12:34

In un film fatto di tante scene, improvvisamente il fermo immagine di un istante solo. Storie che si accavallano, voci, personaggi, trame e sequenze una di fila all'altra: poi, imprevedibilmente, l'attimo in cui tutto si ferma e si cristallizza in un solo istante, sospeso, immobile. Un flusso che si arresta, che si condensa in un momento che racchiude la potenza del tutto, la magia del magma da cui ha preso vita. C'è il passato e anche il futuro, i ricordi come le speranze. C'è nonna Ginevra, classe 1901; c'è la campagna della Fermo degli anni Sessanta e poi c'è Mariantonietta Di Felice, bambina ieri e donna oggi, ex promotore finanziario e assessore all'urbanistica della sua città: tutte insieme nel fermo immagine che racconta della sua infanzia, bolla statica dentro i ricordi di anni rampanti di grande trasformazione e profondo rinnovamento.

Le stagioni

Ripensare a quelle stagioni è un po' come tirare il freno a mano e immergersi in un orizzonte fatto di calma, un piccolo mondo antico «dove nonna camminava lungo via Mossa con il fascio d'erba per i conigli sulla testa e dove il vicino di casa arava il campo con la mucca - ride Mariantonietta - sono scene che ricordo perfettamente, assieme alle storie che nonna amava raccontarmi, in quel limbo speciale a confine tra mito e realtà in cui sapeva muoversi molto abilmente.

Una volta le chiesi il perché della cicatrice che segnava la sua coscia e mi disse che si trattava del morso di una strega ricevuto in tenerissima età mentre dormiva nella sua culla. Anni dopo, cominciai a pensare che si trattava più semplicemente del contatto ravvicinato con un animale ma, da bambina, quella storia così potentemente magica mi ha colpiva e affascinava insieme».

La storia

«Nonna Ginevra era analfabeta, specchio di una cultura totalmente orale: con lei, con le sue coetanee della nostra zona, con i ricordi della Grande Guerra che le piaceva regalarmi o con i resoconti dei grandi avvenimenti attraverso cui era passata, come ad esempio la terribile epidemia di spagnola degli anni Venti del Novecento, sono cresciuta, figlia io stessa di un'epoca in cui i giocattoli erano cosa assai rara e i passatempi dovevamo arrangiarci per costruirceli, con estro e un bel pizzico di immaginazione». Nulla di confezionato e tutto da creare con mani, cuore e fantasia. Erano questi gli strumenti per riempire i pomeriggi da bambina, quelli della solitudine di «una ragazzina cresciuta in campagna, con pochi coetanei a disposizione e due fratelli di dieci e dodici anni più grandi. Ciononostante non mi sono mai annoiata: ovunque stessi, ci stavo bene - ribadisce orgogliosa Mariantonietta - sarà proprio per il fatto di essere stata bambina in un'epoca in cui il fare da sé in casa era ancora una prassi, ma io i miei passatempi me li sono creati e costruiti di sana pianta, dai vestiti all'uncinetto confezionati da me stessa per le mie bambole alla casa che realizzai loro con vecchie scatole e scatoloni. La solitudine non mi è mai pesata, perché sapevo bene come gestirla e riempirla. Come quando, sognando di fare l'annunciatrice televisiva, nel silenzio di casa mi sedevo su uno sgabello e, con sguardo fiero, schiena dritta e voce impostata leggevo qualsiasi cosa mi capitasse in mano come se fossi una di quelle "signorine buonasera" che nell'immaginario di bambina nata con la tv e cresciuta negli anni Settanta spadroneggiavano».

Il percorso

Crescere, allora, è stato un divenire quotidiano, un percorso pacato attraverso le stagioni e i loro ritmi. Una maturazione lenta, che a un certo punto però incontra la corsa e la pista d'atletica. «Mi sono avvicinata a questo sport grazie alla mia professoressa di educazione fisica delle medie - comincia Mariantonietta - di fronte ai brillanti risultati riportati durante i giochi studenteschi, mi propose di cominciare ad allenarmi e io accettai. Fu, per me e per la mia solitudine, una ventata d'aria fresca: gli allenamenti settimanali con gli atleti come me, con cui facemmo subito gruppo, le gare della domenica mattina, le trasferte e i raduni nazionali furono un passpartout meraviglioso e sano per uscire dal contesto in cui avevo passato l'infanzia ed aprirmi a nuovi mondi e incredibili esperienze che porto ancora addosso, come quando incontrai, al centro nazionale di atletica di Fornia, Sara Simeoni e Carlo Vittori, l'allenatore di Pietro Mennea. Per una velocista come me, fu una conoscenza da brividi».

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