«RABBIA E VENDETTA»
«Più che di resipiscenza - scrive la corte - che non è certo emersa dalle dichiarazioni rese nel corso delle indagini fornendo versioni parziali e contraddittorie, può parlarsi infatti di vergogna per il risultato davvero abnorme dell’azione criminosa posta in essere per dare sfogo al prepotente sentimento di rabbia e di vendetta che gli impediva di accettare la sconfitta del suo progetto di vita familiare». Quanto alla riduzione della pena, i giudici la motivano con un calcolo errato in primo grado. L’entità dell’aumento della pena per il reato di devastazione (5 anni e sei mesi) decisa dal gup Chiara Valori «è eccessiva» e, per questo, spiega la corte, «si ritiene congruo limitare l’aumento a cinque anni, considerato che il reato di devastazione è stato comunque conseguenza diretta di un’unica azione individuale posta in essere dal solo Pellicanò». Proprio per effetto di questa riduzione non è possibile applicare l’isolamento diurno alla condanna all’ergastolo e dunque il computo finale della pena, scontata di un terzo per via del rito abbreviato, è di trent’anni di reclusione.
NON HA MAI INCONTRATO LE FIGLIE
Per i giudici di secondo grado, tuttavia, così come per il gup di Milano, non si possono concedere all’imputato le attenuanti generiche perché manca in Pellicanò la «resipiscenza» per le sue azioni, ossia non si è mai pentito di ciò che ha fatto.
Nelle motivazioni, infatti, si sottolinea che dopo l’esplosione il pubblicitario «mai si era interessato alle sorti della ex compagna nel periodo in cui era ricoverato in ospedale e non aveva voluto incontrare le figlie» che rimasero ferite gravemente nell’esplosione. Secondo le indagini, il movente della strage fu la depressione nella quale piombò il pubblicitario alla prospettiva della separazione dalla compagna e madre dei suoi figli. Una perizia svolta in primo grado aveva stabilito che l’uomo era affetto da un vizio parziale di mente quando, nella notte tra l’11 e il 12 giugno del 2016, svitò il tubo del gas nel suo appartamento causando l’esplosione, come confessò subito dopo l’arresto. Davanti agli inquirenti ha spiegato di ricordare solo «per fotogrammi» quello che era successo, anche a causa degli psicofarmaci assunti contro l’ansia e l’insonnia. Ma la corte nelle motivazioni rileva che la sua confessione successiva «è intervenuta solo dopo che gli elementi a suo carico erano emersi appieno ed era volta a prospettare diverse tesi difensive».