L'imprenditore Claudio Massi: «Aspettavo il sabato per le vasche in piazza»

L'imprenditore Claudio Massi: «Aspettavo il sabato per le vasche in piazza»
L'imprenditore Claudio Massi: «Aspettavo il sabato per le vasche in piazza»
di Francesca Gironelli
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Domenica 19 Maggio 2024, 04:30 - Ultimo aggiornamento: 11:09

Una giovinezza trascorsa in viaggio quella di Claudio Massi, che ha passato buona parte della sua adolescenza lontano da Ascoli, agognando l’arrivo del weekend per ritornare a casa. «Mio padre scelse di mandarmi al Montani di Fermo, che era fra le migliori scuole per periti industriali, e poi a Forlì. Lo fece per il mio bene - racconta Claudio, ricordando suo papà Ettore, che insieme a mamma Fernanda hanno cresciuto tre figli - e anche perché, già a 12 anni, mi piaceva tanto stare in discoteca. Ad Ascoli c’era una sola discoteca all’epoca ed era quella che lui aveva aperto nel 1967, la Whisky Notte. Mio padre era già titolare di una impresa di impianti, dove io ho lavorato per qualche tempo dopo gli studi, prima di dedicarmi al settore commerciale. Lui era bravissimo, soprattutto con gli impianti elettrici. Io invece ho sempre avuto paura dell’elettricità!».

Tanti sacrifici

Al centro degli anni giovanili di Claudio c’è la scuola, un periodo di sacrifici: «Andavo discretamente bene, matematica mi piaceva molto. Il sabato avevo un’ora di ginnastica e ben quattro di officina. Ma io il sabato non andavo mai a scuola perché proprio quel giorno, la mattina, tornavo ad Ascoli con il treno o con l’autobus - spiega Claudio, che faceva il pendolare da Forlì accompagnato dalla musica di Cocciante, De Gregori, Battisti - e mi rimandarono a settembre proprio per quella materia. Che neanche mi piaceva!». Erano gli anni della contestazione studentesca, scioperi, manifestazioni, agitazioni. Si poteva pensare ad una adolescenza scapestrata e di marachelle. Niente da fare, calma piatta. «Gli amici erano in gran parte romagnoli - specifica Claudio, passando in rassegna il gruppo di studenti - e la classe era fatta di maschi. Ma era una bella classe, i professori erano quasi contenti di noi» aggiunge con tono allegro, perché in effetti può sembrare una stranezza. «Forlì era una zona di campagna, non si faceva nulla dopo le sette di sera - commenta Claudio ripensando a quegli anni - e si studiava. Scuola e studio… Non vedevo l’ora che arrivasse il sabato. Poi c’erano le uscite, i pomeriggi in discoteca con i matinée».

Le partitelle a calcio

Le partitelle a calcio con gli amici erano quelle a Porta Cappuccina e sui campi rimediati nel periodo della scuola media: «Poi non c’è stato più modo e tempo. A Fermo ero in collegio e lì non si usciva proprio. A Forlì, alla sera, non c’era un’anima in giro». Il confronto con Ascoli è immediato: «Andavo a piedi o in bici, e mi incontravo con gli amici per le vasche in piazza del Popolo - racconta Claudio, che nel riportare alla mente i ricordi cambia tono quando parla della sua città - e si stava fuori fino alle otto di sera. Era una cosa fissa». Dalla prospettiva di un adolescente, cinque anni fuori casa non sono uno scherzo. Forte, pronto ad andare avanti, con Ascoli nel cuore, Claudio ha l’animo romantico e ha compiuto l’impresa. Meno male che l’estate facevo il pieno di energie: due mesi al mare a San Benedetto, ma di sole ne prendeva poco. «Si usciva la sera e si facevano le ore piccole, e mi svegliavo tardi - racconta con tono scherzoso Claudio - e quando andavo in spiaggia non era per sdraiarmi sul lettino. Mi piaceva stare proprio allo chalet e parlare con le persone».

L’incontro

Il calcio non era a quei tempi una fissa, ma è a una partita dell’Ascoli Calcio che nel 1978 incontra per caso Annamaria, sua moglie: entrambi andati per passare un pomeriggio con gli amici, un incontro del destino che li tiene felicemente insieme da allora. Ai giovani d’oggi, il Claudio adolescente dà buoni consigli per trovare la propria strada: «Fare sport, ma seguiti bene. E soprattutto studiare - aggiunge con enfasi - e sapere quali sono i vantaggi dello studio. Conoscere la storia, la tradizione e avere la visione allargata all’Europa. Anzi, studiare per essere cittadini del mondo, perché quello che conta sono le relazioni e il dialogo, sapersi confrontare per crescere».

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