Lucio Sestili, decano dei ristoratori: «Un’estate da barman per non limare il ferro»

Lucio Sestili, decano dei ristoratori: «Un’estate da barman per non limare il ferro»
Lucio Sestili, decano dei ristoratori: «Un’estate da barman per non limare il ferro»
di Francesca Gironelli
4 Minuti di Lettura
Domenica 28 Aprile 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 07:20

Istrionico, gioviale e dalla battuta sempre pronta, Lucio Sestili è una figura storica per gli ascolani e se si parla di enogastronomia e ristorazione, vino e cultura del bere, di Carnevale, non si può non nominarlo. Questo grazie alla sua grande esperienza, iniziata a quindici anni: «Mi avevano rimandato a settembre, per la materia di officina ferro e legno alla scuola industriale. Ma ero negato per le materie pratiche - spiega con tono allegro Lucio - a limare il ferro non ero capace. All’esame non vado, ho detto a babbo: quell’estate, per penitenza, lui mi portò con sé per la stagione a San Benedetto a fare il gelataio al Cavalluccio Marino e il barman alla Palazzina Azzurra. Al mattino facevo i gelati, nel pomeriggio li sporzionavo, la sera alla Palazzina facevo l'aiuto barman. Primo insegnamento - elenca Lucio - il lavaggio dei bicchieri. Il primo drink preparato è stato il Negroni: ne facevo bottiglioni, era il più semplice. Seguirono quelli più difficili da preparare al momento: Gin Fizz, Martini. Il mio fare si fermava qui - commenta Lucio - però ero attento quando gli altri preparavano quelli più complessi». Così inizia questa avventura, passando dalle cucine di ristoranti, che lo ha portato a ricevere riconoscimenti ed essere figura di riferimento.

Famiglia numerosa

Lucio è ascolano doc, primo di cinque figli: mamma Nicolina viveva a Borgo Chiaro, il padre Elvezio a San Filippo e Giacomo. «Sono nato in casa in via Damiano Chiesa, a quei tempi si nasceva così con l'aiuto dell'ostetrica. La mia si chiamava Eva: non ho dato nessun problema, volevo uscire subito a prendere una boccata d'aria». L’infanzia e la giovinezza di Lucio non sono state tutte rose e fiori, trascorse a giocare ad “accosta muro”, “sassitt”, “campana” o a “salta cavallo”, come per tante famiglie del tempo: «Praticamente ho fatto da madre ai miei fratelli, Eligio, Leo, Vinicio e Lucia. Li accudivo e cucinavo - racconta Lucio - e un giorno Vinicio mi cadde nel braciere: gli arrostii il sedere. Mamma faceva la camiciaia e babbo era barman al Caffè Moderno, davanti al teatro Ventidio Basso.

Lei si mise in proprio per cause forza di maggiore, infatti babbo perse il posto per essersi rifiutato di iscriversi al partito fascista».

A “Shangai”

Anni che Lucio ricorda bene, quelli a Borgo Solestà, nella zona popolare detta “Shangai”, in una casa piccola in 11 persone, senza riscaldamento. «Mamma mi faceva portare le camicie in casa dei suoi clienti all'ora di pranzo ma non io non le consegnavo - aggiunge Lucio - se prima non pagavano, dicevo che i soldi ci servivano per mangiare e riuscivo ad incassare». La scuola è un capitolo a sé: «Alle elementari andavo abbastanza bene, mi piaceva studiare, soprattutto matematica, storia, geografia. Questo amore non fu soddisfatto nella scelta successiva. I miei volevano che diventassi un perito elettrotecnico, non conoscevano i licei, quindi la mia non scelta si rilevò inadatta alle mie potenzialità».

La musica

E poi c’è la musica, la sua passione insieme alla maratona: «Babbo, sebbene fosse stonato, era appassionato di lirica. Avevo dodici anni - cerca ancora nei ricordi Lucio - quando mi portò insieme a lui a sentire “La forza del destino”. Rimasi incantato, non solo dall'opera, ma dall'imponenza del teatro: noi eravamo ovviamente nel loggione. Andavo benissimo nel solfeggio a scuola di musica, poi mi diedero il clarino, mi pare in si bemolle. Niente da fare, non riuscivo a chiudere i fori dello strumento. Allora tentarono con il sax soprano, il corno, tromba tenore, grancassa. Alla fine, decisi di lasciar perdere a suonare». La prima bicicletta a 20 anni, il motorino a 24, la macchina a 26. Militare in Aeronautica, dopo aver fatto il Car ad Albenga. Una vita sempre in movimento, non solo per la pratica dello sport. Successo e fatica, che nell’adolescenza affondano le radici: «Un periodo della vita che mi ricorda il rispetto tra persone, la chiave della porta di casa lasciata sempre inserita. Ma vorrei dire una cosa: un bambino non può mai dimenticare il vedere purgare e picchiare il proprio padre dai fascisti. Questo sì che lascia il segno. Chiudo qui - aggiunge Lucio con il suo stile - vogliamoci bene se potete. Sembra il titolo di un film!».

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