Senigallia, Ponte Angeli nel mirino della procura: «Realizzarlo più alto era impossibile»

Senigallia, Ponte Angeli nel mirino della procura: «Realizzarlo più alto era impossibile»
Senigallia, Ponte Angeli nel mirino della procura: «Realizzarlo più alto era impossibile»
di Sabrina Marinelli
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 14 Febbraio 2024, 02:40 - Ultimo aggiornamento: 11:23

SENIGALLIA Troppo basso per la procura Ponte 2 Giugno, poi ribattezzato ponte Angeli dell’8 dicembre 2018. Non è stato previsto il franco idraulico di 1,5 metri, rispetto ai valori di una piena del fiume con un tempo di ritorno di 200 anni. E’ quanto viene contestato dalla procura - che ha chiuso le indagini - all’ingegnere Nafez Saqer, progettista del ponte e al collaudatore Giorgio Giorgi. Tra gli altri 23 indagati per l’alluvione del settembre 2022 c’è anche l’avvocato Claudio Netti, all’epoca presidente del Consorzio di bonifica e ora presidente della Bonifica Engineering Marche.

I reati

A lui viene contestata solo la mancata pulizia del fiume e, pur non avendo responsabilità sul ponte, spiega che «c’è un decreto ministeriale del 2018, il quale prevede per la costruzione di un nuovo ponte uno spazio tra il livello di massima piena e il ponte di un 1,5 metri per il passaggio dei tronchi galleggianti». Il decreto riguarda i nuovi ponti ma non era stato considerato nuovo, come di fatto è, perché era un vecchio ponte da rifare.

La giustificazione

«L’autorizzazione paesaggistica imponeva che la struttura fosse sullo stesso livello della strada e così è stato realizzato, visto che si trattava di un ponte da rifare – prosegue Netti –. Applicare quel decreto significava lasciare tra il ponte e il muretto, che rappresenta il livello massimo di piena, 1,5 metri. Dalla strada sarebbero stati in totale 3,2 metri perché va considerata anche l’altezza del ponte. La Soprintendenza non l’avrebbe mai autorizzato perché sarebbe arrivato al primo piano dei Portici Ercolani. Con questa interpretazione ponte Garibaldi non si farà mai». Ponte Angeli dell’8 dicembre 2018 e gli interventi non realizzati, per rendere sicuro il fiume Misa, sono tra gli aspetti finiti nel secondo filone delle indagini della procura per l’alluvione del 15 settembre 2022.

Se nel primo viene contestata la gestione dell’emergenza, in questo secondo ciò che è stato fatto o non fatto per la mitigazione del rischio idraulico. La prevenzione insomma. «Non sono affatto sorpreso di ritrovarmi tra gli indagati – prosegue l’avvocato Claudio Netti – anche se mancano i veri responsabili. Chi ha impedito che gli interventi di pulizia dei corsi d’acqua venissero ampliati, cercando il pelo nell’uovo. Mi hanno imputato di non aver pulito ma ho avuto mille paletti». Era previsto lo sfioro al porto, detto impropriamente scolmatore, il prolungamento della banchina di levante e l’escavo alla foce del Misa. Tutto bloccato. Netti rivela di essersi imbattuto spesso in troppi cavilli che, oltre agli ambientalisti che non mancano mai, gli hanno impedito di fare più di quanto avrebbe voluto. «Il mio è un plauso alle indagini perché, finalmente, aiuteranno a risolvere le pluriennali dispute intorno a chi fa cosa. Non sappiamo più dove mettere le mani, la verità è che fino all’alluvione tutti hanno dormito poi si è ritrovato indagato chi in Regione, finalmente, ha messo mano agli interventi di mitigazione del rischio». Le indagini è certo che saranno l’occasione per fare chiarezza e lavorare meglio in futuro. «E’ un processo dovuto – aggiunge - ci sono 14 morti, quindi, è giusto che venga resa giustizia, nel rispetto delle persone. Questo processo, però, darà anche una spinta a risolvere il problema così, finalmente, ci lasceranno lavorare. Mi chiedo poi dove siano quelli che ci accusavano di fare una strage degli innocenti quando abbiamo pulito gli argini del Misa, tagliando gli alberi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA