Da molti anni analizzo e studio l’economia cinese, le sue dinamiche di crescita e le sue interazioni con i mercati occidentali. Tra le domande che mi vengono spesso poste in questi giorni, in tema di Cina, le più ricorrenti sono legate alle previsioni per il 2025. La Cina crescerà ancora, nonostante le difficoltà che i media riportano? La politica di Trump quanto metterà in difficoltà la Cina? Si tratta di domande che nascono non solo dalla curiosità dei cittadini, ma anche dagli interessi delle imprese della nostra regione, molte delle quali guardano alla Cina spesso con preoccupazione. Cercherò di rispondere brevemente a questi due interrogativi. Iniziamo dalla crescita.
Fine anno è sempre un momento di bilanci; per il governo cinese dicembre è anche il momento per riflettere sui punti di forza e le criticità della propria economia. La China's Central Economic Work Conference (CEWC) è un appuntamento atteso tanto dai cinesi, quanto dagli analisti internazionali perché in essa si tracciano le principali traiettorie di sviluppo e le priorità dell’anno successivo, a cui seguiranno misure e interventi specifici. La conferenza di quest’anno ha riaffermato la crescita economica come obiettivo principale per il 2025 (quindi si, la Cina crescerà, a ritmi probabilmente compresi tra il 4.5% e il 5%). Le aree di intervento prioritarie individuate durante la Conferenza rivelano una consapevolezza piena dei punti critici dello sviluppo cinese, come anche delle possibili leve per promuovere ulteriormente lo sviluppo.
Nove sono le aree prioritarie individuate: rafforzare la domanda interna come motore chiave della crescita; supportare l’innovazione tecnologica e la modernizzazione dei sistemi industriali; promuovere ulteriori misure di riforma del sistema economico per eliminare le inefficienze strutturali; mantenere il ruolo di attore chiave nei mercati globali; prevenire e controllare i rischi finanziari e sistemici; promuovere l’urbanizzazione e la rivitalizzazione delle aree rurali; rafforzare lo sviluppo regionale per affrontare gli squilibri tra province e città; accelerare la transizione verde; migliorare la qualità della vita dei cittadini e promuovere la stabilità sociale.
Tra le iniziative annunciate ci sono anche l'aumento delle pensioni di base, il rafforzamento dei sussidi per l'assicurazione medica, lo sviluppo dei consumi attraverso la promozione della silver economy e delle industrie del turismo culturale. L’economia sta attraversando cambiamenti strutturali profondi ed il governo ha messo in chiaro le aree di miglioramento e le debolezze. Lo ha fatto alla vigilia del rilascio, nel 2025, di due attesissimi documenti di politica industriale che sanciranno la via dello sviluppo cinese nel prossimo futuro: il 15° Piano quinquennale (2026-2030) e il Made in China 2035 che dovrebbero guidare la Cina verso la leadership tecnologica.
Veniamo alla seconda domanda. Dopo la vittoria di Trump alle elezioni americane ho subito commentato che l’approccio USA alla Cina sarebbe cambiato: meno ideologico (come è stato con Biden) e più pragmatico e imprevedibile (come sempre è stato Trump). Rispetto al primo mandato di Trump, c’è un cigno nero che rende le politiche verso la Cina non così nette e belligeranti come la narrativa di Trump potrebbe lasciar intendere (dazi pesanti per dar seguito al mantra del Make America Great Again).
Pochi giorni fa, in USA, si è avuto riscontro di quanto gli interessi di Musk possano piegare la politica USA. Una delle principali disposizioni escluse dal disegno di legge sui finanziamenti governativi ha riguardato le nuove restrizioni sugli investimenti americani in Cina, con un’attenzione particolare alle tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale, i semiconduttori e l’informatica quantistica. I democratici additano Musk come responsabile di questo stralcio. Si è parlato di gesto volto ad ingraziarsi i leader cinesi. In effetti, le sinergie e le opportunità di collaborazione (o potenziali aree di concorrenza) tra i business di Musk e la Cina sono notevoli: dal settore automotive, alla space economy, all’energia, fino alle grandi costruzioni. Ovviamente è Tesla ad offrire i dati più interessanti: è l'unica casa automobilistica straniera ad avere una fabbrica in Cina non in forma di joint venture con partner locali. Quest'anno è stato anche costruito uno stabilimento per la produzione di batterie. L’apertura di un centro per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale dovrebbe completare la strategia di penetrazione del paese.
Lo stabilimento di Shanghai realizza circa il 50 percento della produzione automobilistica globale di Tesla e quasi un quarto del fatturato complessivo nel 2023 derivava proprio dalle vendite di veicoli di fabbricazione cinese. La Cina è il secondo mercato per le auto di Musk. Il governo cinese non ha però ancora permesso a Tesla di offrire la propria tecnologia di punta in ambito di guida assistita e guida autonoma, tanto è che Musk ha personalmente fatto appello al premier cinese, Li Qiang, per ottenere il permesso di procedere con il Full Self-Driving.
Questo quadro ci fa comprendere come il ruolo di Musk nel governo Trump potrebbe rendere per la Cina meno arduo affrontare la guerra dei dazi e cavalcare l’onda della progressiva collaborazione, che dal piano economico potrebbe spostarsi a quello politico. Difficile da realizzarsi nel breve termine, ma non impossibile nel medio periodo. Tirando le somme, dunque, il 2025 sarà ancora un anno di trasformazione per la Cina e la sua economia, caratterizzato da incertezze, da dazi roboanti, ma anche da possibili sorprese (all’insegna del cigno nero).
La crescita sarà moderata a livello economico, guidata dai consumi interni e dagli stimoli governativi, ma anche tumultuosa in termini di capacità di innovazione ampia e profonda. Il tutto aspettando il 2026, in cui sarà molto più chiaro il percorso di accompagnamento che il governo imposterà verso il pieno sviluppo economico, sociale, tecnologico del Paese (da realizzarsi tassativamente entro il 2049).
* Professore ordinario di Economia Applicata all’Università di Macerata