Bollette e rincari, le imprese del Sud: «Noi non ci fermiamo ma a questi prezzi produrre non conviene»

Bollette e rincari, le imprese del Sud: «Noi non ci fermiamo ma a questi prezzi produrre non conviene»
di Nando Santonastaso
5 Minuti di Lettura
Martedì 8 Febbraio 2022, 07:00 - Ultimo aggiornamento: 9 Febbraio, 07:08

La parola impronunciabile è chiusura. Perché equivale a fallimento, abbandono del mercato, cassa integrazione o peggio. E nessun imprenditore, per quanto angosciato per l'effetto a lungo termine degli enormi aumenti del costo del gas e dell'energia elettrica, sembra in procinto di gettare realmente la spugna. Non lo dicono apertamente, almeno. Ma al telefono ansia, preoccupazione, rabbia e una robusta dose di pessimismo si tagliano a fette. L'Italia che produce, unita dalla mazzata della bolletta energetica e da una montagna di dubbi e perplessità su ciò che potrebbe accadere a stretto giro. Uno scenario, per giunta, di fronte al quale non si reagisce nemmeno alla stessa maniera, perché spesso tecnicamente non si può: «Noi non possiamo fermare la produzione per ridurre le spese dicono ad esempio i fratelli Fulvio e Carlo De Iuliis, amministratori di Cartesar, 43 dipendenti, tutti per fortuna al lavoro su tre turni, azienda salernitana della carta riciclata, uno dei settori più penalizzati come l'alluminio, la siderurgia, il vetro e la ceramica -. Il nostro lavoro è stato giudicato essenziale durante la pandemia: se ci fermassimo ci sarebbero metri cubi di rifiuti di cartone nelle strade. Per esportarli, occorrerebbero decine di camion e dunque ancora emissioni su emissioni. Siamo del tutto favorevoli alla sostenibilità ambientale ma in Italia le cartiere possono utilizzare solo il gas per gli scarti, mentre altrove come in Francia vengono bruciati nei termovalorizzatori. Morale, tra extra costi di energia e concorrenza impossibile si naviga a vista». 

Resistere la parola d'ordine, ma fino a quando? Luigi Rapullino, patron di Sideralba, una delle migliori realtà siderurgiche del Mezzogiorno, e non solo, non usa mezzi termini: «La spesa energetica, che ci costa almeno 2 milioni di euro, lieviterà quest'anno di una volta e mezzo.

La situazione è davvero drammatica», dice. E aggiunge: «Stiamo già soffrendo per l'aumento del costo dei trasporti perché le tariffe sono crescite tantissimo. Ora quest'ulteriore mazzata: abbiamo pensato alla costruzione di un impianto fotovoltaico per diventare autosufficienti sul piano energetico ma ci vorrà tempo e intanto si rischia di vedere compromessa la nostra competitività, costruita con anni di sacrifici e investimenti».

Come si resiste? Intanto intervenendo sulla produzione, nel senso che, spiega Rapullino, alla guida di un gruppo che in Italia ha 230 dipendenti con sede centrale ad Acerra nel Napoletano (altri 400 sono nello stabilimento acquisito in Tunisia dove, a quanto pare, questo tipo di problemi non esiste), si va a regime più basso per calmierare i prezzi. Ma intanto «stiamo riflettendo sui tempi del nostro piano di investimenti da 25 milioni previsto per il prossimo triennio: dobbiamo capire se avviarlo lo stesso o rinviarlo». 

Video

Dalle Alpi alla Sicilia l'allarme suona ininterrottamente ormai da giorni. Fabio Zanardi, presidente di Assofond e titolare di una storica fonderia (lavora la ghisa) in provincia di Verona, 250 addetti e 50 milioni di fatturato, dice che l'aumento dei costi dell'energia per la sua azienda è stato del 200%, da 5 a 15 milioni l'anno: «Dieci milioni in più sono il 20% del fatturato, un valore che rende insostenibile l'attività». Puntare sull'aumento dei prezzi è un'idea ma fino ad un certo punto, ammette Zanardi: «Si tratta di un'azione rischiosa perché se non tutti i clienti accettano questi rincari le aziende sono costrette a interrompere l'attività per non produrre in perdita. Una situazione critica con aspetti paradossali perché gli ordinativi sono a livelli che non si vedevano da più di 10 anni».

Sempre in Veneto c'è chi non esita, come nel caso della Ceramiche Maroso, a rinviare i clienti a due o tre mesi: «Ripassate a marzo», dicono perché sono nell'impossibilità di accontentare le loro richieste. Non è conveniente. E del resto basta dare un'occhiata a questo elenco di rincari per rendersene conto: una tintoria di tessuti di Prato è passata in un anno da 40.500 euro di bolletta elettrica a 297mila euro; un'azienda di ceramica di Fiorano Modenese da 19.952 a 87.600 euro; una pizzeria di Reggio Emilia da 5mila a 14mila euro; un bar di Empoli da 4mila a 12.911 euro. E così via, nella consapevolezza che non sono casi limite ma la norma. Fa sicuramente più notizia la disperazione di Luciano Gambaro al Corriere della Sera: il presidente del Consorzio Promovetro di Murano, a Venezia, ha raccontato di aziende che si sono ritrovate già nello scorso ottobre bollette di 170mila euro, improponibili per un settore ad alto valore aggiunto ma che lavora 7 giorni su 7 e 24 ore su 24: «Davanti ad aumenti del genere non c'è molto da fare». I fondi stanziati in emergenza dalla Regione basteranno a quanto pare fino a marzo: «La maggior parte di noi dice Gambaro - ha già dovuto apportare degli aumenti al proprio listino del 20%, in alcuni casi addirittura del 30%. Ma anche questa soluzione non è sostenibile a lungo andare. Soprattutto se contiamo che un'azienda come la mia in precedenza aveva fatto un aumento del 10% in 5 anni e si è ritrovata a doverne fare uno del 20% da un mese all'altro».

Chi può spegne le macchine, mette i dipendenti in cassa integrazione o giù di lì e aspetta che la buriana passi. È accaduto nel Bresciano, alla Btt Trattamenti Termici, che ha pensato di chiudere almeno per tre mesi per difendersi dal caro-energia: il manager Sandro Savoldi ha spiegato che «a settembre la nostra bolletta del gas era di 183mila euro, a ottobre è salita a 873mila euro, cinque volte tanto, e secondo le previsioni potrà salire ancora a 1,3 milioni di euro solo per il gas, senza contare l'energia elettrica. Considerando che fatturiamo 1,9 milioni di euro, la scelta di chiudere è obbligata dalle circostanze». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA