Lucia Di Rienzo, campionessa mondiale di Spartan Race: «Ho attraversato di corsa il deserto, saltato ostacoli e tabù»

La donna ha vinto in uno sport considerato da uomini

Lucia Di Rienzo, campionessa mondiale di Spartan Race: «Ho attraversato di corsa il deserto, saltato ostacoli e tabù»
Lucia Di Rienzo, campionessa mondiale di Spartan Race: «Ho attraversato di corsa il deserto, saltato ostacoli e tabù»
di Valeria Arnaldi
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Sabato 17 Dicembre 2022, 14:14 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 11:13

Ha corso sulla sabbia. Ha attraversato il fango. Ha scavalcato muri. Si è ferita le mani nel corso di più di una sospensione. E, stremata dal caldo torrido ma senza pensare neppure un istante di fermarsi, ha trionfato sugli altri concorrenti e, più ancora, sullo stereotipo del sesso debole. Lucia Di Rienzo, 37 anni, tiburtina, mamma di Tommaso che di anni ne ha otto, lo scorso 3 dicembre è diventata campionessa mondiale di Spartan Race, dopo una corsa a ostacoli di ben ventuno chilometri, ultimata in tre ore e quarantanove minuti, nel deserto ad Abu Dhabi. Insomma, ha vinto in uno sport considerato da uomini, dimostrando che i limiti, forse, sono solo una questione mentale.


Partiamo dalle regole: cosa si intende per Spartan Race?
«È una corsa a ostacoli, che possono essere artificiali e naturali, come attraversare fiumi e pozze di fango, correre sui sassi, rimanere in sospensione, affrontare prove di equilibrio, trasportare sacchi di sabbia e attività simili».


Quale è stata la scintilla che l'ha spinta a mettersi alla prova?
«Attraversavo un momento difficile.

Avevo una famiglia e un lavoro sicuro e fisso. Insieme a mia sorella, avevo un'agenzia di servizi nel Tribunale di Tivoli. Improvvisamente, però quella vita ha iniziato a starmi stretta. Avevo bisogno di cambiare. Ho lasciato il padre di mio figlio, abbandonato il lavoro e cambiato città. Oggi sono allenatrice di corse a ostacoli, vivo a Foligno, con mio figlio e studio Scienze Motorie all'università».


Una vera sfida, anche fisica vista la disciplina.
«Sono sempre stata portata per lo sport, sin da ragazza. Non trovavo, però, nulla che mi appassionasse davvero. Da adolescente, giocavo a pallavolo. Mi piaceva allenarmi ma non tolleravo lo stress delle partite. Avevo paura delle competizioni. Poi ho iniziato a fare corsi di CrossFit. Appena ho scoperto la Spartan Race, nata negli Stati Uniti come addestramento militare, mi sono appassionata. Era il 2014. Ho impiegato quattro anni per trovare il coraggio di iscrivermi alla prima gara open, ossia non competitiva».


È andata bene?
«Tanto che dopo poche gare sono passata alle corse competitive. Volevo mettermi alla prova, diciamo che, dato il momento particolare della mia vita, desideravo capire chi ero davvero».


Lo sport l'ha aiutata a comprenderlo?
«Sì. Per la Spartan Race occorre una buona preparazione fisica ma anche mentale. Bisogna saper gestire le proprie energie e conoscere il proprio corpo, averne piena consapevolezza. Fa davvero bene all'autostima. La consiglierei a tutti. Aiuta a cambiare sguardo sulla vita e su di sé. Io ho dovuto fare i conti con tanti fallimenti, ma sentivo che potevo fare qualcosa di buono. Mi sono fatta male alcune volte, ma non volevo mollare, ogni volta mi rimettevo in gioco».


La Spartan Race è considerata una disciplina prevalentemente maschile, ha incontrato difficoltà come donna?
«Non nell'ambito sportivo. Chi ne fa uno, quale che sia, capisce la passione che ti spinge, magari, a non passare i fine settimana al mare per andare in una città europea a fare una gara. Chi però non ama lo sport, non comprende. Dopo un po', la gente ti dice che hai un'ossessione, che vai verso l'autodistruzione e cose del genere. Ad essere più difficili sono le relazioni sentimentali».


Come mai?
«Molti uomini hanno paura delle donne forti, non si avvicinano nemmeno. Temono il confronto, sentono una sorta di competizione, hanno paura di essere messi in discussione. E quando la paura iniziale vene superata, poi spesso le relazioni finiscono male per gli stessi motivi».


Chi sono le persone che vengono alle sue lezioni?
«Perlopiù uomini, ma anche tante donne, sempre di più peraltro. Ci sono alcuni ragazzi, dagli undici anni. Anche mio figlio fa qualche allenamento. La gran parte dei partecipanti ha tra 20 e 50 anni. Le donne, in generale, si mettono maggiormente in gioco rispetto agli uomini che, non di rado, temono il fallimento, soprattutto l'immagine della sconfitta. Gli effetti comunque si vedono presto per tutti».


Quali sono?
«Maggiore fiducia in se stessi. Tanti non fanno alcune cose perché temono di non farcela, ma è un allenamento per tutti e il primo insegnamento è proprio questo. Non ci sono limiti».


Non è da tutti però affrontare una corsa a ostacoli nel deserto.
«È stata la più faticosa finora, un'esperienza bellissima. Ero contenta ad ogni passo e questo non mi faceva sentire lo sforzo».

Una lezione di vita?
«Certo. Se qualcosa non ci piace nella nostra vita, possiamo modificarlo. È questo che si impara. Quando riesci a scavalcare un muro, il tuo sguardo sugli ostacoli cambia. Profondamente. Non è mai tardi per ripensarsi e se qualcosa non va, bisogna cambiarla».
 

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