Andrea Zorzi porta lo sport a teatro con “Avventuroso viaggio a Olimpia”

Andrea Zorzi in una scena di "Avventuroso viaggio a Olimpia" insieme a Beatrice Visibelli-Beazia
URBISAGLIA - Entrare in un anfiteatro romano e incontrare Andrea Zorzi, leggendario pallavolista della grande Nazionale di Velasco, è un’occasione che non si...

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URBISAGLIA - Entrare in un anfiteatro romano e incontrare Andrea Zorzi, leggendario pallavolista della grande Nazionale di Velasco, è un’occasione che non si può perdere. Capita con “Avventuroso viaggio a Olimpia”, domani sera alle 21,30 a Urbs Salvia, l’area archeologica di Urbisaglia.


Zorzi, un vero atleta che racconta le Olimpiadi in un anfiteatro romano. Un’emozione, per noi spettatori. Per lei?
«Grandissima… Questo è il luogo ideale. È una felicità per me portare qui in scena lo sport, che alle Olimpiadi assumeva il suo massimo valore: insieme spettacolo, rituale religioso e tregua politica».
Dalla sua esperienza, entrata nella storia dello sport, già portata in scena con “La leggenda del pallavolista volante”, alle Olimpiadi. Che percorso?
«Per un casuale cortocircuito, il drammaturgo e regista Nicola Zavaglia a suo tempo mi propose di raccontare la mia avventura. Poi, ci è sembrato di poter superare la soglia e andare alle origini: il passo, un viaggio nell’evento storicamente tra i più rilevanti per l’umanità, ci è sembrato breve. Così divento Zorkos, un ex atleta che non ha vinto alle Olimpiadi, ma che torna a Olimpia per capire. Assomiglia alla mia vicenda».
L’oro mancato per un soffio ad Atlanta, nel ‘96, brucia ancora?
«Con quell’argento, che all’epoca avremmo tirato contro un muro, ormai abbiamo fatto pace. C’è voluto un po’ di tempo, ma ci ha molto aiutato l’Italia, che ci ha seguito con una partecipazione empatica, senza polemiche».
Com’è successo che un atleta è divenuto attore?
«È stato un percorso a step successivi, da quando, Nicola e io, amici di scoglio in vacanza, ci siamo raccontati la nostra vita. Lui deve aver intuito una mia capacità di narrare. Questo non necessariamente trasforma un atleta in attore, ma le circostanze hanno aiutato. Nel 2012 a Firenze – quell’anno città dello sport - pensammo di fare un reading sulla mia esperienza. Sul palcoscenico, mi sono trovato subito con naturalezza, forse per la mia abitudine di atleta a muovermi nello spazio. Ma non gioco da attore. Tra l’altro ho una fisicità ingombrante e caratteristica...».
In scena accanto a lei c’è Beatrice Visibelli-Beazia, complice e narratrice. E ci sono due ballerini. Con che funzione?
«La collaborazione con il Kataklò Athletic Dance Theatre crea un tessuto affascinante per gli occhi e le orecchie, fatto di corpi statuari e parole, a esprimere meglio l’antica Grecia. Non a caso, subito dopo il debutto, abbiamo portato “Avventuroso viaggio” a Carpi, al festival della filosofia che aveva per tema la gloria».
Beatrice Visibelli è la moglie di Nicola Zavaglia. Giulia Staccioli, la fondatrice di Kataklò, ex atleta anche lei, è sua moglie: una miscela esplosiva?

«Una collaborazione inaugurata a Jesi, alcuni anni fa. Per “Niente alibi”, le storie di Vigor Bovolenta e Giusy Versace, chiedemmo aiuto ai Kataklò. E scoprimmo che funzionava. Una pazzia, certo, ma una costruzione talmente affascinante, che ci abbiamo riprovato ancora. I due ballerini, Matteo e Sara, sono meravigliose statue, compagni di viaggio e scenografia vivente: due voci e quattro corpi sempre in grande sintonia». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico