Il soprano Sàlome Jicia: «Ho il Rof nel cuore e ad agosto torno a Pesaro per il galà dei 25 anni di presenza di Juan Diego Florez»

Il soprano georgiano Sàlome Jicia in “La donna del Lago”
PESARO - Sàlome Jicia è un soprano georgiano che ama le Marche per diverse buone ragioni. Va bene la cultura in genere, la gastronomia (come un certo Rossini)...

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PESARO - Sàlome Jicia è un soprano georgiano che ama le Marche per diverse buone ragioni. Va bene la cultura in genere, la gastronomia (come un certo Rossini) però quello che l’ha fatta sentire “nostra” è stato l’abbraccio del Rof, del maestro Alberto Zedda e della sua Rossini Opera Accademy, di un’audizione con il maestro Mariotti e da lì le si è aperto il mondo.

 

L’abbiamo conosciuta nel gennaio del 2017 quando, dopo il grande successo con “La donna del Lago” a Pesaro, Sàlome si decise di affrontare “La Traviata” al Pergolesi di Jesi. Era molto giovane allora ma aveva non solo le idee chiare, o quasi tutte, possedeva anche la voglia di studiare e andare avanti. 
Una bella voce estesa e ampia, che generalmente porge con grande sensibilità e attenzione. E qualcuno se n’è accorto, beata lei e beati noi...


«È stata Renata Scotto, grande artista e maestra, che, dopo una master class, mi ha messo, all’Accademia di Santa Cecilia a Roma, una mano sulla spalla e mi ha detto: Sàlome, io credo in te e voglio aiutarti, tu sei già pronta per cantare Rossini. Da lì il passo per Pesaro è stato molto breve».


Il debutto vero e proprio? 
«A Mosca, con Semiramide, sotto la guida di Alberto Zedda. Terrore puro. Ma andò benissimo e l’anno dopo debuttai a Pesaro, diretta da Michele Mariotti e con Juan Diego Florez, in “La donna del Lago”. Ero emozionata ma prima di entrare il regista Damiano Michieletto mi disse: «Se ci metti cuore e dai tutta te stessa, la gente lo capirà e ti perdonerà eventuali imperfezioni».


Nel 2016 lei dichiarò, letteralmente: continuerò con Rossini, e Mozart. Verdi e Puccini non prima di dieci anni, servono vocalità particolari. Infatti venne scritturata subito per “La traviata” al Pergolesi di Jesi e a Macerata, e non era passato neppure un anno…
«Gli artisti sono particolari, cambiano spesso opinione, lo fanno però quando sanno di poter affrontare certe pagine con la vocalità e il colore giusti, cosa che spesso avviene dopo una buona e costante scuola e dopo tanto esercizio. Fu una Traviata indimenticabile, quella definita “degli specchi”. Sì, adesso canto Verdi, ho cantato, debuttando a Firenze, anche Bellini, comincio ad entrare in nuovi ruoli». 


Quando un’artista canta una volta Rossini, dicono che di solito lo senta suo per sempre. O no?
«Quando l’ho cantato per la prima volta mi è venuto assolutamente normale, come un pesce che nuota felice nella sua acqua». 


Oggi, che ha superato di poco i trent’anni di età, come ci si sente?
«Ci si sente come qualcuno che deve molto all’Italia e soprattutto ai teatri marchigiani, che mi hanno cullata e insegnato la strada. Avete gente meravigliosa ed essere qui di nuovo l’estate prossima, in agosto, al Rof, per il galà dei 25 anni di presenza di Juan Diego Florez è assolutamente stimolante. Oggi sono a Bruxelles per effettuare alcune registrazioni di concerti e canterò “Elisabetta d’Inghilterra” di Rossini, nella parte del titolo».


Se qualcuno le dicesse di scegliere un’opera da realizzare subito, quale sceglierebbe? 
«Madama Butterfly, di Puccini». 


Lo dice sul serio, anche se ci guarda per sottolineare che col lavoro, come nella vita, tutto si può realizzare. Ci vogliono i tempi giusti. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico