“La locandiera” in vernacolo: l’opera goldoniana in dialetto fermano-maceratese, due spettacoli domenica a Caldarola

“La locandiera” in vernacolo: l’opera goldoniana in dialetto fermano-maceratese, due spettacoli domenica a Caldarola
In dialetto, ambientata negli anni ‘60 e in una locanda con annesso chalet: è “La locandiera” di Carlo Goldoni, in versione vernacolare, realizzata da...

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In dialetto, ambientata negli anni ‘60 e in una locanda con annesso chalet: è “La locandiera” di Carlo Goldoni, in versione vernacolare, realizzata da Progetto Musical. Ad adattare la commedia e a curare la regia è Saverio Marconi. A Manu Latini, che è anche in scena, il compito di tradurre in dialetto fermano-maceratese l’opera goldoniana. Sarà in scena domenica, 3 marzo, alle ore 17,30 (già sold out) e alle ore 21 al Teatro comunale di Caldarola.

 

L’idea per caso

Lo spettacolo, che ha il sostegno dell’Unione montana dei Monti Azzurri e dei Comuni di Servigliano, Caldarola, Sant’Angelo in Pontano, è nato per caso. «Eravamo a cena – ricorda Latini – io e Saverio Marconi. Era da tempo che volevo fare qualcosa in dialetto, ma desideravo fosse di qualità. Saverio voleva La Locandiera e quindi l’abbiamo fatta in vernacolo». Non è la prima volta che Marconi lavora con il dialetto: «41 anni fa avevo fatto “Perchè, Perchè Marì”, ambientata negli anni ‘20. Una commedia semplice, fatta qui a Tolentino. Poi con Manuel Latini abbiamo deciso di fare La Locandiera». Ambientata in una località marchigiana, quale però non è dato sapere. «Un paese delle Marche – spiega Marconi, senza sceglierne uno in particolare. Ho voluto ambientarla al mare, dove in genere c’è un buon movimento e dove si facevano le vacanze negli anni ‘60». Anche il periodo di ambientazione è puramente voluto. «Vi si facevano le vacanze – aggiunge il regista – e poi c’erano locande con stanze. Abbiamo stravolto un po’ la storia, ma il legame con l’originale c’è e rimane, appunto, proprio nel mare. I personaggi ci sono tutti e vivono negli anni ‘60, perché è stato un bel periodo, il boom economico ancora non c’era stato, le canzoni erano piacevoli».

L’adattamento

La colonna sonora, ovviamente, è la musica anni ‘60 e, una volta fatto l’adattamento, si è passati alla traduzione. «Dopo quindici giorni – dice ancora Latini – ho tradotto l’opera, avvalendomi anche della consulenza di Angelo Paci di Servigliano e di Marco Pazzelli di Monte San Pietrangeli. Sono andato anche a istinto, attingendo dal vissuto ed è stato divertente trasporre i personaggi e farli parlare in dialetto. Arrivano tutti da diversi posti del Fermano e del Maceratese, il mio personaggio, in particolare, è di Monte Urano». Divertente per chi l’ha tradotto e anche per chi lo ha messo in scena. «Io non parlo il dialetto, ma lo comprendo – commenta Marconi – e durante le prove ho voluto aggiungere qualche modo di dire. Quello che ho voluto fare è una sorta di omaggio alla commedia dell’arte, pensavo all’“Arlecchino servitore di due padroni”, messo in scena da Strehler, con il siparietto al mare». Divertente farlo, per chi sale sul palco e lo rappresenta ma anche per il regista. «Credo molto nelle compagnie locali – dice Marconi – io sono nato con una di loro. Ho visto che Progetto Musical è un gruppo affiatato e con molta voglia di fare. Sono stato animato anche da un sentimento di revival come nel passato, e poi il compito di chi come me ha fatto una grande esperienza è quello di raccontarla e trasmetterla, soprattutto a ragazzi che non fanno questo di mestiere, insegnare cioè il modo serio di stare sul palco».

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Corriere Adriatico