Puliani a cento anni dalla nascita di Pasolini: «Ha utilizzato la forza della rivelazione per far emergere verità che non si possono dire o che sono nascoste»

Pier Paolo Pasolini in una foto del 1960 sul set del film "Accattone"
FANO - Pasolini e la Guerra: una denuncia di grande attualità. A cent’anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, Massimo Puliani, docente e regista, ha ricordato...

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FANO - Pasolini e la Guerra: una denuncia di grande attualità. A cent’anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, Massimo Puliani, docente e regista, ha ricordato la sua attività di scrittore con un programma sulla pagina Youtube della Rocca Malatestiana di Fano. Il programma fa risaltare la posizione dell’eclettico poeta nei confronti delle guerre e delle dittature, con la riproposizione della denuncia che Pasolini fece all’indomani delle due drammatiche invasioni da parte dell’Unione Sovietica in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968. La giornata dal titolo “100Pasolini” prevista nella rassegna RoccAperta, organizzata insieme a tre associazioni fanesi, si terrà nella programmazione estiva della Rocca. 

 
Puliani, chi era Pasolini e cosa rimane oggi del suo pensiero? 
«Con gli occhi di oggi, Pasolini è stato colui che ha utilizzato la forza della Rivelazione come linguaggio rivoluzionario. Rivelare, togliere il velo dell’ipocrisia, far emergere verità che non si possono dire o che sono nascoste. Rivelare il proprio io esistenziale, le angosce, i conflitti, ma anche la meraviglia e la bellezza della vita. Pasolini era un eretico, un polemista, un sociologo, un ideologo dell’arte, del cinema, del teatro e del paesaggio. Portava lo sguardo sulla città e sull’uomo. Documentava, con lucide analisi, il costume italiano ma anche la bellezza dell’architettura urbana che si deve preservare, che non bisogna demolire o intaccare con l’avvento dello sviluppo».

 
Pasolini aveva la capacità di leggere il futuro: oggi è come tornare indietro nel tempo con una guerra che insegue il passato? 
«Pasolini è riuscito a prevedere come il nostro sistema sia sempre in bilico: la nostra democrazia va sempre preservata, va curata e alimentata, perché la dittatura è pronta ad aggredire. Ma vorrei andare anch’io “controcorrente” e far emergere di Pasolini una sua produzione che i giovani amano molto, soprattutto quelli che hanno acquisito o vogliono studiare i linguaggi multimediali: si tratta di opere che noi denominiamo docu-film, docu-poesia, docu-inchieste o docu-appello (singolare è “Le Mura di Sana’a“ grido d’allarme indirizzato all’Unesco per la salvaguardia dell’architettura della città, 1973). Non è certo pari a quel cinema che ha gremito le sale (il suo “Decameron” è stato campione di incassi) ma “Comizi d’Amore” e “La rabbia” del 1963 sono attualissimi».


L’attualità delle opere di Pasolini è più viva che mai...
«Come pubblicista era provocatorio (ricordiamo il suo grido: “Aboliamo la tv e la scuola dell’obbligo”, del 1975). Come regista cinematografico amava la fiaba popolare, i luoghi dell’Antico. La sua poetica e il suo modo di comunicare, il suo modo di scrivere, sia con la penna che con l’immagine, è di una complessità tale che va letta in modo graduale e arriva tanto all’intellettuale quanto al popolo. La complessità dell’opera artistica di Pasolini è continuamente mossa da una passione intellettuale, da un’idea forte. Ma è un’idea di una profonda unitarietà che intende esprimere, o capire, e che governa ogni modalità dell’esprimersi». 


Il teatro di Pasolini, che è la sua passione, è ancora attuale?


«Il suo teatro è potente. Penso ad “Affabulazione” recitato da Gassmann e da Orsini e messo in scena da Ronconi. L’attualità poi di “Bestia da Stile”, nata prima dei fatti della Cecoslovacchia, è derivata dal fatto che Pasolini la riscrisse perché “anacronistica” introducendo il personaggio Jan Palach che si darà fuoco per protesta nella Piazza Rossa di Mosca. Il dramma è un’esplorazione febbricitante estrema, una problematica che investe le fondamenta dell’essere umano a livelli che la coscienza vuole ipocritamente nascondere a se stessa. È una tragedia delle pulsioni oscure e violente che agiscono dal profondo dentro di noi, fra noi e intorno a noi: nell’individuo e nella società».  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico