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MONTE URANO - «Lei è sempre la prima ad arrivare al teatro, sinonimo di grande professionalità. E Carla Fracci mi rispose: “È la mia vita”. E non stava esagerando». È il ricordo del pianista e maestro Adrian Theodor Vasilache che, per un periodo, lavorò insieme alla leggenda della danza mondiale scomparsa ieri a Milano a 84 anni.
Vasilache approda in Italia nel 1979 al termine di una rocambolesca fuga dalla Romania, braccato dal regime di Ceausescu.
L’incontro
Nel 1985 viene chiamato per suonare le musiche di Chopin al teatro Nuovo di Milano, nello spettacolo intitolato “Non si scherza con l’amore”, un balletto in 3 atti di Beppe Menegatti (marito della Fracci), che ne firma la regia.
L’insegnamento
Il pianista, che dal 2009 risiede nel Fermano e da tempo insegna al Conservatorio di Fermo, racconta un aneddoto sull’estrema professionalità di quella che venne definita dal New York Times la Prima ballerina assoluta. «In uno spettacolo, alla fine del primo atto, un grido di dolore che probabilmente anche il pubblico avrò ascoltato e la Fracci si accascia sul palco. Un problema alla schiena. Lei non accentuava mai i problemi fisici – racconta Vasilache - anzi li sminuiva. Pensavo che lo spettacolo fosse finito lì. L’intervallo non è durato i soliti 15 minuti ma 25. Dopodiché Carla Fracci torna al suo posto. Per curiosità cerco di guardarla con la coda dell’occhio per notare delle differenze. Nulla, né nei movimenti e né nelle espressioni del viso. Era la perfezione assoluta. Il dolore non l’aveva abbandonata e probabilmente diventava ancora più forte. E nemmeno nel terzo atto, dove la danza toccava difficoltà altissime, sono riuscito a notare delle differenze con il primo atto o con le serate precedenti».
Il maestro Vasilache rievoca quella che è stata una delle più grandi ballerine del Novecento e racconta di una étoile «modesta, umile, diretta, semplice e autentica». «Ricordo che in un’occasione, alla fine dello spettacolo mi fece i complimenti e io le risposi sottolineando il suo impegno e la sua professionalità e lei mi rispose semplicemente dicendo: «È la mia vita». Ed era vero. Lei viveva per la danza. Lei era la danza. Credo che fosse ancora più grande della sua fama. La posso paragonare a ciò che è stato Arturo Benedetti Michelangeli per il pianoforte».
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