PESARO – Stefano Accorsi rilegge il Decamerone al Teatro Rossini di Pesaro. È un'operazione che fa tremare le vene e i polsi, l'avventura in cui si è lanciato Stefano...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
"Questo Progetto Grandi Italiani è un bel percorso. Ci siamo avviati a comporre una trilogia: dopo il piacere di aver portato a teatro l'Ariosto, un classico della letteratura italiana, e dopo Boccaccio, abbiamo intenzione di affrontare Il Principe di Machiavelli...".
Il nuovo impegno si è dimostrato più difficile del precedente?
È un'operazione impegnativa: l'adattamento del testo alla scena ha richiesto mesi di lavoro, soprattutto per semplificare la sintassi del periodo, e rendere la lingua, senza sacrificarne il lessico, più teatrale. Il periodo di Boccaccio è sempre troppo complesso e pieno di incisi. Modernizzarlo sarebbe uno scempio, ma non si presta per il teatro. D'altra parte ci piaceva che un classico di sette secoli fa risultasse, pur datato, ancora bellissimo.
E dal punto di vista drammaturgico?
La formula usata per Furioso Orlando è cambiata: ora siamo sei in scena, e lo spettacolo ha un Dna diverso, più corale: sempre di narrazione si tratta, ma ognuna delle sette novelle che abbiamo scelto di rappresentare dal Decameron è molto agita, con un ritmo teatrale.
Il progetto parte da un intento didascalico, democratico: per far conoscere il testo al grande pubblico?
Sì, c'è la volontà di restituire al pubblico la bellezza e la forza di questi tesori da riscoprire. Questo testo probabilmente era letto in pubblico, con una dimensione più sociale della narrazione, che si è un po' persa. E poi nel Decameron Il rito del racconto è fondante. È importante recuperare questi classici, farli uscire dalla pagina: comporta l'adattamento, il montaggio, un'operazione di drammaturgia che stimola come un lavoro di ricerca.
Anche perché il testo è imponente...
Abbiamo selezionato le novelle che ci sembrava avessero il più forte impatto scenico, sette atti unici legati tra loro dalla convenzione di questa compagnia di giro che arriva con il suo pullmino, e mette in scena con diverso ritmo e diversi colori sette storie diverse.
... riprendendo lo schema della cornice del libro, no?
Esatto! Il racconto lì è rito di vita, di chi racconta per non morire, per contrapporsi e resistere alla paura della morte. Come scrive Marco Baliani, finché c’è una voce che narra, siamo ancora vivi; sia chi racconta, sia noi che ascoltiamo.
Un bel messaggio per i giovani. E dei suoi tanti ruoli, quale preferisce?
A un attore raramente capita di poter recitare tante sfumature in una sola sera, dal tragico al comico alla commedia dell'arte, al burlesco. Forse più di tutti amo il mio Panfilo, il mastro di brigata che è anche il narratore, e tiene discorsi che mi stanno molto a cuore, soprattutto quando spiega le ragioni di aver portato in scena questo testo...
La compagnia parla col pubblico, dunque, come in un teatro di strada.
Infrangiamo la quarta parete e il pubblico è sempre coinvolto. Ricordo la "scolastica" di qualche giorno fa a Palermo: i ragazzi erano catturati, stavano al gioco. Ci hanno dato delle belle soddisfazioni, invece di cadere in un chiassoso torpore annoiato, perché sono entrati in pieno in questa bella macchina teatrale. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico