Nome esotico, viso latino e misterioso: Joan Thiele, talento emergente della musica italiana sarà ospite, stasera alle 21, di TeatrOltre alla Chiesa dell’Annunziata...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Un mix di luoghi e sonorità, un po’ tribale…ci racconta le origini di questo album?
«È nato principalmente in Sudamerica, in Colombia ad Armenia, da un momento di viaggio abbastanza difficile che ho intrapreso un anno e mezzo fa, dove ho iniziato a scrivere una valanga di cose. È effettivamente un insieme di sonorità perché cerca di raccontare le anime della Colombia, ma anche dell’Europa, dove ho casa, a Milano. L’album uscirà in aprile e lo anticiperò a Pesaro».
Una vita passata in giro per il mondo: quali le influenze maggiori nel suo fare musica?
«Il viaggio è una componente fondamentale della mia scrittura: è quella cosa che mi permette di non fermarmi mai elaborare e ascoltare. Si fa sempre più fatica ad ascoltare, ma per me, la bellezza del viaggio è proprio riuscire a farmi viaggiare anche con la mente, osservandomi intorno. È un modo per reinterpretare i suoni che vanno metabolizzati e poi riproposti in una versione personale, come per ogni forma d’arte in fondo».
Stessa cosa per i testi?
«Anche il testo, ovviamente, ha la sua enorme importanza nel raccontare tutto quello che ho vissuto e ho interpretato a modo mio: dalle suggestioni alle esperiente personali. Ma, il mio è un legame molto profondo con la musica principalmente: come se la musica avesse già le sue parole, scritte».
Come mai la scelta di un nome d’arte?
«In realtà Joan è il mio secondo nome, Alessandra il primo e Thiele, che si pronuncia “tile” è il vero cognome. Mio nonno si chiama Juan e mi faceva piacere ricordarlo, ma c’è anche un’altra ragione: la J rappresenta tutta una tipologia di artisti, che sono tantissimi, che stimo e che ascolto tuttora. Da Joan Baez a Joni Mitchell».
Una italiana che canta in inglese: non è forse più facile farlo all’estero?
«Sicuramente, ma è proprio questo il punto: in Italia c’è sempre questo blocco a differenza degli altri paesi Europei molto aperti alla lingua inglese. Ma la lingua non deve essere un limite e vorrei che si riuscisse ad andare un po’ oltre. E’ una questione di apertura mentale: siamo nel 2018 e ognuno è libero di scegliere cosa ascoltare e che lingua scegliere per cantare. Poi non è detto che io non scriva qualcosa in italiano, lascio tutto aperto… appunto».
La sua è una carriera che non è partita da un Talent show: cosa pensa di questi format?
«Dipende dalla persona e dal carattere che si ha. Partire da un Talent è un percorso difficile perché arrivi in un baleno al successo e poi devi mantenerlo nel tempo. Spesso chi è arrivato pensa di essere invincibile, ma non è così. Personalmente farei fatica a gestire il discorso televisivo».
Cosa occorre per farsi conoscere?
«La musica! Ma se non hai niente da dire è difficile che vai avanti». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico