Raphael Gualazzi: «Suono un crossover tra jazz e pop»

Raphael Gualazzi
ANCONA - Raphael Gualazzi approda al pop. E presenta la versione internazionale dell’album “Love Life Peace” questa sera alle 21 all’Area Porto Turistico...

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ANCONA - Raphael Gualazzi approda al pop. E presenta la versione internazionale dell’album “Love Life Peace” questa sera alle 21 all’Area Porto Turistico di San Benedetto del Tronto. Un concerto prossimo al sold out, con gli ultimi biglietti in vendita al botteghino a partire dalle 18. Prezzi dai 40 euro della poltronissima ai 25 euro del terzo settore.


Ma che fine ha fatto lo “stride piano” degli esordi?
«In realtà è sempre presente nei miei concerti. Nella versione live alcuni brani vengono riarrangiati proprio per dare ai singoli strumenti le dinamiche che meritano. Il pianoforte, ad esempio, avrà sempre uno spazio di azione molto ampio. Così come gli altri strumenti che compongono l’ensemble».

E come mai questa virata pop?
«Non direi una virata pop, ma un felicissimo crossover tra pop e jazz. In fin dei conti la cifra stilistica, che è la matrice del mio approccio alla musica, non è affatto scomparsa. Anzi, come dicevo poco fa, le dinamiche del jazz si ritrovano nella dimensione live. Grazie anche ad una formazione a sei elementi in cui compare anche la sezione fiati».

Merito anche della produzione di Matteo Buzzanca, giusto?
«Esattamente. Matteo ha reso ancor più solida la produzione dell’ultimo album, seppur garantendo alla chiave jazz di mantenere la libertà che merita. Inoltre abbiamo rafforzato l’approccio eclettico delle mie composizioni, lasciando la possibilità agli strumenti di interagire con grandi momenti di interplay durante i concerti».

Qual è il punto di inizio durante la composizione dei suoi brani?
«Mah, a volte l’idea può arrivare durante un soundcheck. O dall’incontro di persone interessanti durante un viaggio, se non addirittura dallo scambio di impressioni con altri musicisti. Nel caso in cui sono autore al 100% del brano, parto sempre dalla musica. Poi canticchio qualcosa in inglese, e alla fine arrangio il testo in italiano».

Se dovesse rappresentare la sua musica con un’emozione?
«Il divertimento credo che sia la dimensione che meglio rappresenta la mia musica e che sappia riportare il jazz alla giusta popolarità. Suonare dal vivo è per noi un grande momento di impegno divertito».

C’è una location che lei preferisce?
«Quando suono, m diverto così tanto e mi concentro a tal punto che mi estranio totalmente dalla location. Che sia un teatro, un club o uno spazio all’aperto, non fa differenza».

E il pubblico percepisce questo suo grande trasporto?
«Credo proprio di sì, anche perché ho un rapporto molto bello e intenso con il pubblico. E questo grazie alla straordinaria partecipazione che ho riscontrato fino ad ora».

Il suo sogno nel cassetto?
«Una tournèe con una big band. Ho avuto nel 2012 una splendida esperienza con l’Orchestra Federale della radio nazionale tedesca, e spero che prima o poi accada di nuovo di poter avere a disposizione una big band con cui affrontare un intero tour».

Quindi sarà questo il futuro della sua musica?

«Lo spero. Ma mi auguro anche di poter collaborare con altri grandi artisti. Tanto per fare qualche nome: il batterista Anderson Paak, ad esempio. L’ho visto aprire il concerto di Bruno Mars, sensazionale». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico