«Non ho i soldi per la tomba»: l'ex datore di lavoro si impietosisce ma poi lo denuncia. Assolto, non c'è traccia dei prestiti

«Non ho i soldi per la tomba»: l'ex datore di lavoro si impietosisce ma poi lo denuncia. Assolto, non c'è traccia dei pagamenti
PESARO - Coppia finisce a processo con l’accusa di aver raggirato l’ex datore di lavoro di lui, in base alla denuncia sporta lo avrebbero mosso a compassione per...

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PESARO - Coppia finisce a processo con l’accusa di aver raggirato l’ex datore di lavoro di lui, in base alla denuncia sporta lo avrebbero mosso a compassione per ottenere dei soldi: alla fine un esborso di quasi 24mila euro, ma l’esito finale riserva una sorpresa nella decisione del giudice.

 

I fatti si sarebbero consumati nel 2016 quando un 55enne di Napoli si è avvicinato al suo ex datore di lavoro. Il rapporto di lavoro si era interrotto per la crisi dell’azienda nel 2008 ma i due erano rimasti in contatto. L’uomo si era poi accompagnato con una 47enne pugliese ed entrambi nel corso degli anni avrebbero iniziato, con quelli che l’ex datore ha poi definito artifici e raggiri nella querela presentata, a chiedere denaro rappresentando finte condizioni personali e familiari tali da spingere la vittima a una umana comprensione.

Più episodi

Una volta erano soldi per l’acquisto di una carrozzina per un disabile, un’altra volta per pagare le spese per la tomba del marito di lei e ancora per familiari che necessitavano di costose cure mediche. Il tutto con la promessa di restituire le somme perché la 47enne aveva detto che il marito era morto in un incidente stradale e che avrebbe avuto un risarcimento di 300mila euro. L’uomo aveva iniziato a prestare a più riprese somme di denaro per arrivare a un totale di 23.700 euro tutti in contanti fatta eccezione per un assegno da 1000 euro. La parte offesa alla fine ha chiesto di rientrare del prestito ma i due hanno negato di aver contratto tale debito. I soldi erano spariti e non c’era traccia dei pagamenti che l’uomo annotava in un taccuino. Scattata la denuncia, i due sono finiti a processo per truffa in concorso. L’avvocatessa Margherita Nocito, legale degli imputati, ha fatto leva proprio sulla mancata tracciabilità delle somme richieste durante l’udienza di ieri davanti al giudice monocratico di Pesaro. «Non ci sono tracce dei pagamenti dunque nessuna prova e se si parla di un presunto debito, andrebbe discusso in sede civile». Il pubblico ministero ha chiesto la condanna a 1 anno e 200 euro di multa ciascuno, ma il giudice ha assolto entrambi perché il fatto non sussiste. Le motivazioni in 60 giorni. 

 

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Corriere Adriatico