PESARO - «Ma quale opera giovanile del maestro Leonardo, è solo un’altra bufala mediatica». Non usa giri di parole il pesarese Federico Malaventura,...
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Ma oggi Federico Malaventura confuta quanto dichiarato dai luminari: «Ho notato il giorno dopo la pubblicazione della notizia, che l’opera non era attribuibile a Leonardo ma bensì ad un ceramista nato nel 1901 a Gubbio, il pittore Aldo Ajò che morirà poi nella stessa città nel 1982».
«Bellissima già solo a guardarla - aveva detto in proposito Solari - la piastrella è stata analizzata da tre laboratori diversi. E tra termoluminescenza, stratigrafie dei pigmenti e analisi riflettologiche, ha cominciato a “parlare”. Rivelando, ad esempio che nella cottura si è persa parte della palpebra. Che l’argilla, così povera di quarzo, arriva da Bacchereto – Montelupo». Non è così per Malaventura. «La mattonella - spiega l’esperto - è ascrivibile alla sua permanenza nella fabbrica Scu (Società Ceramica Umbra) dei Fratelli Rubboli a Gualdo Tadino, tra gli anni 1920/30».
E prosegue: «Ho subito contattato il professors Ettore Sannipoli, grande esperto di maiolica eugubina dal Rinascimento all’età moderna per avvisarlo del fatto, il quale appoggia la mia tesi pur non avendo visto di persona l’oggetto. Lo stesso mi ha comunque informato che il professor Martin Kemp dell’Università di Oxford, massimo esperto di Leonardo, ha confermato ad alcuni siti internet la non paternità dell’opera. Le probabilità, ha detto Kemp, sono meno di zero».
A contraltare gli esperti pro Leonardo sottolineano ancora che la maiolica è stata «completata direttamente da Leonardo fino all’ultima cottura nella fornace dei nonni e che l’opera appartiene agli eredi della famiglia Fenici di Ravello. Noi oggi apriamo il dibattito, ma ci sentiamo molto forti, perché abbiamo a sostegno tutti gli esami e le dimostrazioni scientifiche – ha detto Solari - e siamo pronti a mostrarle a tutti». La replica: «Le incongruenze - argomenta Malaventura – sono queste: il biscotto con cui è fatta la mattonella è ascrivibile proprio agli anni 1920 - 30, di produzione industriale; la tecnica pittorica è riconducibile proprio ad Aldo Ajò, che usava nelle figure un tono aerografato dei visi e l’aureola a rilievo nelle opere più pregevoli; il lustro (una particolare tecnica decorativa che consente di ottenere il colore dell’oro o del rubino) che nel 1471 in Italia era sì conosciuto, ma non ancora prodotto con efficacia. Lo sarà prima del 1490 nelle Fornaci di Deruta e Gubbio, che ne fecero largo uso». Intanto una copia dell’opera è stata esposta al “Museo Leonardo da Vinci Experience” di Roma. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico