PESARO - Il giro di video piratati era internazionale ma il braccio operativo era dell’hinterland di Pesaro, precisamente di Orciano. L’uomo aveva il compito di...
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Gli accertamenti, condotti nell’ambito delle indagini delegate dalla Procura di Pesaro, sono stati determinanti per collegare i responsabili del camcording alle loro identità digitali e, soprattutto, per ricostruire l’intera filiera distributiva dei video pirata. Ma operando nell’ombra, i finanzieri non sono riusciti a sequestrare conti correnti, perché spesso il pagamento, almeno nel caso dell’uomo di Orciano, avveniva in bitcoin, la criptovaluta che è impossibile da rintracciare. Le indagini sono state svolte in sinergia con i consulenti tecnici della Federazione Anti-Pirateria Audiovisiva (Fapav) e hanno portato ad eseguire perquisizioni domiciliari Marche, Piemonte, Lombardia e Puglia con il conseguente sequestro di personal computer, smartphone e relativi supporti fisici contenenti oltre 800.000 file. I finanzieri sono andati oltre i nickname e sono riusciti a risalire ai responsabili grazie a intercettazioni. Per loro è scattata la denuncia per violazione del diritto d’autore (Legge 633) e per l’aver registrato illegalmente in luoghi di pubblico spettacolo (Tulps), punibili fino a 4 anni. Gli hacker, dopo l’acquisizione dei film di successo e delle principali serie televisive trasmesse sui canali delle emittenti pay-per-view, curavano il montaggio e la codifica per il loro caricamento su server adeguatamente dimensionati, con tanto di sottotitoli nelle varie lingue. I file modificati venivano pubblicizzati sui siti internet che, previo pagamento, agevolavano il download illegale.
I canali
Il gruppo aveva stabilito contatti e collaborazioni significative anche con altri gruppi esteri, riuscendo così a diversificare le fonti di introito connesse alle abusive registrazioni. Una volta effettuato l’upload sul web delle opere cinematografiche, gli utenti finali effettuavano il pagamento di quanto dovuto attraverso i normali canali utilizzati per gli acquisti su internet, come ad esempio PayPal, consentendo ai pirati informatici di ottenere lauti e illeciti guadagni.Il gruppo degli hacker individuato dalle fiamme gialle, denominato Free Incoming si era affermato, dal 2010 al 2016, come il principale gruppo di rilascio operante sulla scena italiana ed internazionale, registrando abusivamente il 66% della quota totale di opere pirata in prima visione immesse su internet. L’operazione si inserisce nella più ampia azione di contrasto ad ogni forma di concorrenza sleale e di illegalità economico-finanziaria, perpetrata anche attraverso l’uso del web. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico