PESARO - Coppia finisce sotto processo per una presunta violazione della legge sulla maternità surrogata, arriva la sentenza: per il giudice non si può procedere se...
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Una volta che marito e moglie sono rientrati in Italia con l'iscrizione all'anagrafe, la procura ha voluto vederci chiaro tanto che la coppia è stata rinviata a giudizio secondo l'articolo 12 della legge 40 del 2004. In pratica il testo parla di divieto a chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità. Secondo la procura ci sarebbe stato un accordo con terze persone, avendo attivato una serie di condotte iniziate in territorio italiano e proseguite in territorio ucraino mediante l'utilizzo di strutture sanitarie straniere, di un notaio all'estero e con la signora che ha poi portato avanti la gravidanza per conto della coppia. Rientrati in Italia nel 2016 i genitori avevano la dichiarazione della donna autenticata che attribuiva la maternità alla pesarese. Per la coppia l'accusa che è stata formulata parla di concorso di surrogazione di maternità di tipo eterologo. Ma il contesto giuridico in questo caso è un vero ginepraio.
Perché la legge dice espressamente chiunque realizzi tale pratica. E qui interviene il diritto perché se la madre surrogata e la clinica hanno ruoli attivi, ci sarebbe un forte interrogativo sui genitori. Sono parte attiva? In che misura? Un caso dunque quello di Pesaro che potrebbe fare giurisprudenza. E proprio di questo aspetto si è discusso in aula, a porte chiuse, perché i genitori, dopo essere stati rinviati a giudizio lo scorso ottobre, hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato. Così sono finiti davanti al tribunale monocratico di Pesaro.
La pena secondo a quanto dispone la legge sarebbe molto salata. Si parla infatti di un reato punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600mila euro fino a un milione di euro. La coppia era presente ieri mattina in aula ed era assistita dall'avvocato Diana Maria Castano Vargas. A rappresentare la procura il pubblico ministero Silvia Cecchi che ha chiesto una condanna a 40 giorni e 300mila euro di multa contestando che tutto l'iter è nato comunque in Italia anche se si è poi concluso all'estero. Il giudice dopo una quindicina di minuti di camera di consiglio ha espresso il verdetto. Non si può procedere perché il fatto è comunque avvenuto all'estero e per la legge italiana serve una autorizzazione dal ministero di Grazie e Giustizia per poter procedere. Al termine dell'udienza abbracci e sospiri di sollievo per la coppia. La procura, una volta lette le motivazioni della sentenza, è pronta a impugnare il verdetto.
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Corriere Adriatico