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FANO - È una delle voci più belle del nostro territorio e non solo: una voce di straordinaria eleganza che, parafrasando il suo ultimo album “Curami l’anima”, è in grado di toccare le corde più nascoste del nostro sentire. Cantautrice e apprezzata interprete del Fado, Elisa Ridolfi è una fanese nata a Pesaro: «mio babbo lavorava all’ospedale di Pesaro e preferii farmi nascere lì, ma so che ebbero dei problemi a riportarmi a casa: nella 500 dei miei la culla non ci stava», racconta sorridendo.
La sua è stata un’infanzia spensierata e giocosa: «vivevamo nel quartiere Poderino, noi al primo piano e sotto i nonni. Nonna Gianna ha ora 96 anni, è stata un pilastro della nostra infanzia. Abitavamo in una via dove non passavano quasi mai auto e, tranne i 3 mesi più freddi, io giocavo per strada, insieme ad un folto gruppo di bambini». Elisa viene raccontata come una brava bambina, ma con una bella vitalità. «Andavamo da soli a scuola (io e mio fratello di 4 anni più piccolo) e quando tornavamo mettevo su io l’acqua per la pasta. Venivamo da una tradizione in cui i figli erano subito responsabilizzati. Eravamo la generazione delle “ginocchia sbucciate”, ho ancora le cicatrici, della sperimentazione fisica, liberi di giocare.
La comunità
Oltre al senso della comunità: eravamo figli di tutti, in un quartiere che accoglieva l’infanzia». Elisa ha iniziato ad ascoltare la musica molto presto: «il mio gioco preferito era il mangiadischi portatile, ci cantavo e ballavo sempre.
Dalla psicologia all’anima
Musica e cura dell’altro, sono sempre state nel Dna di Elisa: «Ho sempre avuto dentro di me l’istinto di stare nel mondo cercando di portare sostegno, permettere l’evoluzione. Pensavo di trovarlo e realizzarlo in un approccio più accademico, legato al mondo della psiche, e invece l’ho spostato in quello dell’anima. Il filo conduttore è comunque sempre lo stesso: non è stato uno strappo, ma un andare ad una ricerca più profonda». Una famiglia che aiuta e stimola l’arte non è da poco: «penso alla figura di mio nonno, Virginio Ridolfi, che era un pittore e realizzava quadri di forte impatto emotivo. L’arte è sempre stata una presenza molto forte nella nostra casa, a cui ho dato sempre molto valore». La sua prima presenza professionale su un palcoscenico avvenne a 19 anni: «Fu un po’ per caso: Marco Poeta, che stava approcciando il Fado in quel periodo, era amico dei miei e capitò di suonare insieme, ad un matrimonio, alcuni brani di Buona Vista Social Club. Così decidemmo di farne un concerto e debuttammo a Mondavio: con me c’era Francesco Di Giacomo del Banco. Fu un’emozione fortissima: arrivata al microfono ho visto tutto nero. È stato l’ingresso in un’altra dimensione e lì ho capito che la musica era davvero una cosa seria e da allora è diventata per me una grande scuola, dove ho imparato sul campo».
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Corriere Adriatico