Pesaro, l'odissea di Cascino, positivo da quasi tre mesi: «Ma la sono vista brutta, ma non ho sintomi da 70 giorni»

Pesaro, l'odissea di Cascino, positivo da quasi tre mesi: «Ma la sono vista brutta, ma non ho sintomi da 70 giorni»
PESARO  - La battaglia di Piergiorgio Cascino contro il Covid-19 va raccontata al plurale. Parte dagli 84 giorni di lotta contro il virus raggiunti e prosegue, con fattezze...

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PESARO  - La battaglia di Piergiorgio Cascino contro il Covid-19 va raccontata al plurale. Parte dagli 84 giorni di lotta contro il virus raggiunti e prosegue, con fattezze da record, con i sei tamponi di controllo effettuati, le tre diverse degenze vissute (la terapia intensiva del San Salvatore, Villa Pini a Civitanova e Residenza “Anni Azzurri” di Campofilone) e, come nei climax più riusciti dei film di fantascienza, culmina con i 70 giorni, gli ultimi 70 giorni, di sintomi ridotti a zero. 


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Avete capito bene: dopo essersela vista brutta nel reparto di terapia intensiva a Pesaro, nei giorni più feroci del Coronavirus, Cascino è di fatto guarito da 70 giorni pur restando positivo. «Sono in attesa dell’esito secondo tampone, mi auguro negativo, effettuato il 24 maggio - racconta lo stesso Cascino, imprenditore e dirigente d’azienda, già membro del consiglio direttivo della Confindustria e candidato sindaco a Pesaro, nel 2009, contro Ceriscioli -.
 
Vivo da solo in casa, con mia moglie che mi lascia pranzo e cena fuori dalla porta ed è costretta a stare in un altro appartamento. Mi hanno detto che con gli esiti dei tamponi sono in ritardo di diversi giorni. Capisco le problematiche ma per chi come me rischia superare i 90 giorni in questa situazione, anche un giorno in meno è fondamentale. A maggior ragione visto che il primo tampone con esito negativo l’ho fatto il 20 maggio (risposta il 23, ndr). Sogno di passare questo weekend libero con la mia famiglia che non abbraccio da tre mesi» 

«Mi sono ammalato lo scorso 7 marzo - racconta - Fino al 17, il giorno del mio compleanno, non mi volevano ricoverare. Dicevano che era meglio stare a casa. Erano i giorni più complicati del Coronavirus per l’ospedale di Pesaro. Io, però, stavo sempre peggio. Mia moglie, insistendo fortemente con tutti, mi ha fatto portare al pronto soccorso. Avevamo ragione: avevo una polmonite bilaterale, mi hanno messo subito in terapia intensiva con la maschera di Venturi al 50% di ossigeno. Meglio non raccontare la sofferenza che ho visto lì dentro... Io, fortunatamente, ho reagito bene alla terapia, non so neppure cosa mi abbiano fatto ma il 22 marzo mi hanno mandato a Villa Pini, Civitanova: da allora non ho più avuto nulla, non ho più effettuato cure. Sono guarito. Infatti subito dopo mi hanno spostato nella struttura di Campofilone. Ci tengo a fare un plauso alla Croce Rossa e alla loro disponibilità incredibile».


Il 22 aprile Cascino è tornato casa, a Pesaro, dove ha la possibilità di vivere da solo. Ma da allora, in pratica, vive agli arresti domiciliari. «Mi sono perso tutti i compleanni della mia famiglia. Vedo i miei nipoti in giardino, dal terrazzo, al quinto piano di casa mia - racconta con la voce emozionata -. L’incertezza logora dentro, l’assenza di libertà è frustrante. La prima cosa che farò, riacquistata la libertà, sarà quella di abbracciare i nipoti, anche se con massima attenzione, e poi andare al porto e al mare. Il mio è un appello: anche un giorno di attesa in meno, una risposta veloce, rapida, per noi che siamo ancora costretti ad attendere a casa, è fondamentale».  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico