TORINO - «A Sergio Marchionne è stato affidato un patrimonio glorioso, nel momento in cui era più gravemente compromesso. C’era bisogno non solo di...
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«Il suo lavoro, a Torino come in America, è stato per tutti uno sprone a non perdere mai la speranza, ci ha aiutato a comprendere che dobbiamo continuamente fare i conti con la nostra storia, ma che non dobbiamo aver paura del nuovo, dell’aggiornare i nostri orizzonti; dobbiamo considerare le difficoltà come opportunità su cui scommettere, non accontentandosi mai dei risultati raggiunti ma guardando in avanti verso nuovi e ambiziosi obiettivi. È di questa speranza che Torino oggi ha bisogno per scuotersi dalla sua rassegnazione». L’arcivescovo Nosiglia ha ricordato «il suo coraggio, la sua intelligenza - anche spregiudicata a volte -, il cammino della sua vita, lungo il quale ha conosciuto bene la condizione difficile dell’emigrato. Un cammino in cui ha imparato la tenacia necessaria per guadagnarsi i suoi talenti, attraverso lo studio e il duro lavoro, facendoli poi fruttare nelle situazioni in cui la vita lo ha portato».
«Quando guardiamo alla vita che conducono i ricchi e i potenti - ha detto - ci sembra sempre che essi non abbiano problemi; non siamo portati ad accorgerci dei loro drammi personali e umani. Ma poi, quando arriva una malattia incurabile, a cui segue repentina la morte, allora emerge la solitudine che ha provato anche il Figlio di Dio sulla croce, quando grida: ‘Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Dopo l’omelia, alcuni lavoratori Fca hanno letto le preghiere per Marchionne. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico