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URBINO - Dopo miele e olive, è l’allarme anche per il tartufo bianco pregiato: «Si modifichi il periodo di apertura per la raccolta del tartufo. A rischio la stagione del tartufo bianco pregiato». Giulio Lonzi esperto di enogastronomia legata alle tradizioni, agli usi e costumi dei popoli, già fiduciario di Slow Food Urbino e responsabile eventi per Slow Food Marche, torna a lanciare l’allarme: i cambiamenti climatici stanno mettendo a repentaglio la stagione del tartufo bianco.
Il clima come una mannaia
A causa della diminuzioni delle precipitazioni e l’innalzamento delle temperature negli ultimi anni è drasticamente crollata la produzione di tartufo, in particolare quella del Tuber magnatum Pico, che ad oggi non è ancora possibile coltivabile nelle tartufaie come invece avviene per lo scorzone o per altre specie.
La domanda
Cosa facciamo umanamente per preservarlo? «Nulla - rincara Lonzi -. Poiché i cambiamenti climatici sono una ineluttabile calamità naturale dovremmo intervenire sull’aspetto antropico in maniera rilevante, magari pensando da ora in avanti di agire anche sul numero di tesserini rilasciati, portandolo a numero chiuso come già stanno ipotizzando alcune regioni più lungimiranti, o addirittura ideando due fermi biologici ogni anno per permettere al sottosuolo di riposare e al micelio di rigenerarsi micorizzando le radici delle piante e arbusti».
La proposta
Infine sarebbe ora che venisse modificato il calendario regionale posticipando l’apertura e la chiusura di raccolta di almeno 15/20 giorni permettendo ai “fioroni” termine col quale si intende, in parole povere, l’ “embrione di quello che sarà il tartufo reale, destinato a sfaldarsi sottoterra per permettere la simbiosi”, preparando al meglio il terreno, fortificandolo e migliorando di fatto per quantità e qualità la produzione. Sempre Lonzi conclude spiegando: «Varie proposte erano state avanzate negli ultimi anni da colleghi e specialisti del settore, ma ad oggi di fatto nelle Marche ancora nulla è stato cambiato e nessun impegno è stato preso dai responsabili regionali del settore, come invece accaduto nella vicina Emilia Romagna».
Corriere Adriatico