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ANCONA La Corte di Appello di Ancona ha ribaltato la sentenza di condanna per i quattro ex consiglieri regionali che avevano deciso di procedere con il rito abbreviato nel filone (quello iniziato dopo il ribaltone della Cassazione) delle cosiddette Spese Facili. Ieri pomeriggio il procedimento si è concluso per Adriana Mollaroli, Stefania Benatti, Giovanni Zinni e Lidio Rocchi. Per le prime due è stata decretata l’assoluzione perché il fatto non sussiste, mentre per Zinni perché il fatto non costituisce reato. Nei confronti di Rocchi, invece, sono cadute le accuse per sopravvenuta prescrizione. Erano tutti accusati di peculato per aver ottenuto - sosteneva la procura di Ancona - rimborsi per spese ritenute non prettamente istituzionali o comunque non giustificate durante i loro mandati.
I casi
La Benatti, difesa dall’avvocato Marina Magistrelli, aveva rinunciato alla prescrizione, convinta di poter provare la sua innocenza.
I precedenti
La procura aveva impugnato il verdetto e il procedimento era finito in Corte di Cassazione. A Roma i giudici avevano annullato il dispositivo del gup, facendo di fatto ricominciare l’udienza preliminare. Da lì, 55 rinvii a giudizio e cinque riti abbreviati: Acquaroli, Benatti, Mollaroli, Zinni e Rocchi. Discorso a parte per chi, fin dall’inizio (ovvero dalla prima udienza preliminare del 2016), aveva deciso di procedere con l’abbreviato. Si tratta di Giacomo Bugaro (ex Pdl), l’ex governatore Gian Mario Spacca, Oscar Roberto Ricci (Pd) e Francesco Comi (Pd). In questa tranche si è arrivati alla sentenza della Corte d’Appello di Perugia dell’ottobre del 2021 dopo un ping pong giudiziario: assolti Comi e Ricci, condannati Bugaro (un anno e mezzo) e Spacca (un anno e otto mesi). «In questi anni, pur con alti e bassi, non ho mai disperato perché sapevo di essere nel giusto - il commento di Benatti - dopo 14 anni dai fatti, lo Stato rinuncia a procedere, ma io volevo essere giudicata innocente perché me lo merito e non per decorrenza dei termini». Si conclude anche per Zinni quello che ha definito «un incubo durato anni. Finalmente la Corte d’Appello ha stabilito con sentenza che la mia condotta fu perfettamente lecita».
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Corriere Adriatico