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ANCONA - Pierluigi Bocchini, presidente di Confindustria territoriale di Ancona, lei sostiene che sia necessario estendere l’uso del Green pass anche nelle aziende.
«C’è una posizione ufficiale di Confindustria in merito e siamo assolutamente per l’obbligatorietà del Green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro».
Questo significa che, a vostro avviso, così com’è stato concepito, il Certificato verde non è sufficiente?
«Più che altro, non riguarda i luoghi di lavoro.
A livello nazionale, Confindustria si sta muovendo per chiedere al governo un’estensione delle regole in questo senso?
«Sì, sono in corso delle interlocuzioni con il governo centrale per far in modo che il tema del lavoro, come quello delle scuole, del personale sanitario e della socialità, venga affrontato nell’ottica di un’introduzione del Green pass. Non è pensabile, nel momento in cui ci sono assembramenti di persone come avviene nelle fabbriche e negli uffici, evitarne l’uso».
Una forma di tutela che in molti casi viene chiesta dagli stessi dipendenti vaccinati.
«Faccio fatica a comprendere le posizioni no vax, ma a prescindere da quale possa essere il mio pensiero, c’è un articolo della Costituzione che parla in modo chiaro: il diritto alla salute collettivo prevale su quello individuale. Oggi è chiaro che bisogna vaccinarsi. È una discussione fuori dal mondo e fuori dal tempo. Io sono per l’obbligo alla vaccinazione».
Se passa l’ipotesi Green pass nei luoghi di lavoro, di fronte a quei dipendenti che non volessero comunque vaccinarsi, come dovrebbe comportarsi l’azienda, a suo avviso?
«La mia posizione personale, che corrisponde a quella di Confindustria, è di prevedere un cambio mansione, mettendo il dipendente in un luogo dove non ha la possibilità di contagiare gli altri. Oppure, se questo non fosse possibile, farlo restare a casa senza stipendio».
Ad un certo punto, anche i luoghi di lavoro hanno partecipato alla macchina vaccinale, con somministrazione dei sieri ai dipendenti: com’è andata?
«Avremmo voluto essere più partecipi, ma la campagna vaccinale è stata più veloce di quanto pensassimo. In Italia, migliaia di imprese avevano dato la loro disponibilità, compresa la nostra, la Clabo di Ancona. Volevamo rendere le aziende luoghi di vaccinazione, ma questo in un momento in cui, tra marzo ed aprile, la campagna vaccinale non aveva ancora espresso quell’accelerazione che poi ha avuto con Figliuolo. Di fatto, quando sono arrivati i sieri in numero sufficiente per estendere le somministrazioni anche agli hub aziendali, non ce n’era più bisogno. Abbiamo esteso i questionari ai nostri dipendenti, ma in gran parte erano già prenotati o vaccinati».
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Corriere Adriatico