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ANCONA - Che i brividi della terra possano arrivare dal mare, come succede dall’alba di mercoledì, con più di 150 scosse registrate in due giorni, i nonni di oggi lo sanno dai racconti dei loro genitori. Narrazioni che rimandano a oltre un secolo fa, al pomeriggio del 5 novembre 1917, quando un boato in arrivo dall’Adriatico annunciò un terremoto al largo di Numana, all’epoca un villaggio di pescatori che non si era ancora separato da Sirolo e aspettava di scoprire il turismo.
E la nonnina dei record Alba Pongetti, che domenica scorsa ha festeggiato 108 anni, stava per compierne 16 quando una scossa spaventosa, il 30 ottobre del 1930, devastò la sua Senigallia, facendo crollare 300 edifici e seppellendo 14 vittime.
Nelle tendopoli
Per non parlare delle generazioni di anconetani, quelle con più di 50 anni, che hanno impresso nel Dna il ricordo dello sciame sismico capace tra gennaio e giugno del 1972 di scaricare sul capoluogo di regione oltre 500 scosse, contando solo quelle avvertite dalla popolazione. Non ci furono vittime, ma la sequenza continua di terremoti lesionò 7mila abitazioni, costringendo circa 30mila anconetani a trascorrere periodi da sfollati nelle tendopoli e nei vagoni alla stazione. E i più giovani di oggi, compresi molti nativi digitali, magari conservano ancora nello smartphone il video diventato virale del crollo della falesia sopra la spiaggia del Frate di Numana, avvenuto la mattina del 22 agosto 2013, causato da una delle scosse più forti della sequenza sismica che in quell’estate fece tremare la zona costiera intorno al Conero.
Se tutti noi conserviamo una qualche memoria dei terremoti in arrivo dal nostro mare, in genere con epicentro tra i 10 e i 30 km dalla costa, è colpa dello spostamento della crosta adriatica verso quella appenninica, il cui scontro induce la prima a scivolare sotto l’altra, producendo “strappi” che liberano energia provocano i terremoti.
«Lo scuotimento, in questa zona sismotettonica - spiega l’Ordine dei geologi delle Marche -, porta a un accorciamento delle due falde che si trovano sul sistema di faglia, mentre nell’area appenninica si produce l’effetto opposto: essendo faglie di tipo distensivo, la scossa porta un allontanamento delle due parti».
Un fenomeno che risale alla notte dei tempi e di cui si hanno tracce già in epoca romana, con il terremoto horribilis dell’anno 56 a.C., che colpì la colonia di Potentia, 3 km a sud dell’odierna Porto Recanati, come ricordano Giuseppe Santoni e Rossano Morici nel loro “Terremoti storici delle Marche”.
Con una magnitudo Richter 5.7, quella di mercoledì mattina alle 7 e 07 è stata la scossa più forte registrata da 92 anni lungo l’area settentrionale marchigiana, secondo solo al terremoto di Senigallia, che ebbe una magnitudo stimata oggi in 5.8 «Si tratta di un’area notoriamente sismica - ha spiegato dopo la scossa di mercoledì al largo di Fano l’esperto di terremoti Carlo Doglioni, presidente dell’Ingv - attività dovuta all’incontro di due faglie».
La zona sismo-tettonica
Anche Piero Farabollini, presidente dell’Ordine dei Geologi delle Marche, ha ricordato che gli eventi sismici degli ultimi giorni possono essere considerati normali per la nostra regione, visto che la fascia costiera e marina è una delle tre zone sismo-tettoniche delle Marche. «Queste faglie - spiega il professor Farabollini - possono produrre terremoti di magnitudo massima stimata di 6 M, a differenza delle faglie appenniniche dove si possono produrre sismi fino a 7 M”. La terra trema ancora. «Abbiamo assistito a diverse altre scosse, di intensità più contenuta, ed è probabile che ce ne saranno altre anche nel corso delle prossime settimane - spiegava l’altro ieri il presidente dei geologi marchigiani -. Sono i cosiddetti “after shock” che però non devono preoccupare perché, dalle osservazioni e dai dati storici in nostro possesso, non si tratta di eventi che possono portare a un’altra scossa forte».
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Corriere Adriatico