L'ex governatore Luca Ceriscioli: «Se Mangialardi non si dimette ha una grave responsabilità»

L'ex governatore Luca Ceriscioli: «Se Mangialardi non si dimette ha una grave responsabilità»
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Luca Ceriscioli, ex governatore e oggi uno dei tre saggi del Pd Marche: la segretaria Bomprezzi, da lei sostenuta nella fase congressuale, ha chiesto «un gesto di responsabilità» al capogruppo Mangialardi. Tradotto: le dimissioni dal ruolo che ricopre a Palazzo Leopardi. Proprio non ce la fate a non litigare tra voi?

«In realtà la direzione di lunedì sera aveva l’obiettivo di superare le divisioni che ci sono state tra il partito da un lato e il gruppo regionale dall’altro».

 

E l’obiettivo è stato centrato?

«È emersa molto forte da tutti gli interventi la necessità di sanare questa divergenza per il bene del partito e per affrontare uniti le prossime sfide elettorali».

Nel frattempo, però, Mangialardi non si è dimesso. Per ora la richiesta della segretaria è rimasta inascoltata.

«Quella di Mangialardi è una scelta molto importante: se decide di restare capogruppo, si prende una grande e soprattutto grave responsabilità politica».

Anche Bomprezzi non farebbe una bella figura: sarebbe come dire che una parte del Pd regionale non ne riconosce il ruolo di leader e fa come vuole.

«Bomprezzi non può obbligarlo a dimettersi. Non è la rivoluzione francese: non si possono far rotolare le teste».

Ma è la segretaria del partito: se ognuno fa come vuole, che senso ha quel ruolo? Ne uscirebbe indebolita.

«No, anzi. Ha messo sul tavolo, con una relazione forte e condivisa, un problema che esisteva da tempo con una parte del gruppo regionale. E dalla direzione si è visto che non è la sola a pensarla così. È uscita rafforzata. Se Mangialardi non vuole fare un passo indietro, faccia come vuole. Poi se ne assume la colpa e la responsabilità».

Lei che idea si è fatto: si dimetterà?

«Sì, credo che alla fine farà il gesto di responsabilità».

Ad arroccarsi sulla posizione di capogruppo dopo che la maggioranza del partito l’ha di fatto sfiduciato, in effetti, non ne uscirebbe bene. Sarebbe un po’ come l’ultimo dei giapponesi che combatte nella giungla una guerra già finita.

«Chi può dirlo: magari ha una passione per il Giappone».

La butta sul sarcasmo?

«Mi permetto però di mettere in evidenza un altro aspetto della direzione di lunedì sera, che secondo me ha rappresentato un punto di svolta per il Pd».

Cioè?

«Le relazioni di Bomprezzi e di Michela Bellomaria (che rappresenta la minoranza congressuale del partito, ndr) sono state votate insieme. C’era un’esigenza di chiarezza e di unità che con quel voto è stata soddisfatta».

Bellomaria è la leader della minoranza sulla carta. Ma il vero plenipotenziario è Matteo Ricci, il sindaco di Pesaro. Che ruolo ha avuto in questo affaire?

«Gli credo quando dice che non sapeva niente del dossier portato all’attenzione della segretaria nazionale Schlein. Tra l’altro, mi ha raccontato di un incontro della minoranza a Civitanova nelle scorse settimane da cui è emersa una tensione all’unità, non alla lotta a oltranza».

Quindi?

«Quindi spero che Maurizio dia un contributo nella giusta direzione».

A proposito di Ricci: da nemici giurati siete diventati il simbolo dem dell’amore e dell’armonia. È reale questa pax pesarese?

«Il partito deve essere unito a tutti i livelli. Non possiamo dividerci tra noi. Per questo la direzione di lunedì è stata così importante: tutti i problemi sono stati messi sul tavolo ed è emersa con forza la richiesta di unità, sia dalla minoranza che dalla maggioranza».

Se qualcuno dovesse continuare a remare contro?

«Lasciamo la decisione all’intelligenza politica di ciascuno».

Questione di responsabilità.

«Di grande responsabilità».

 

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Corriere Adriatico