La nuova vita di Marco Schenardi: «Ora i miei assist sono tutti per la politica»

L'ex calciatore conquistò la serie A Nelle Marche, oggi è assessore allo sport «Amavo far segnare i compagni: quella stagione anconetana fu magica»

La nuova vita di Marco Schenardi: «Ora i miei assist sono tutti per la politica»
Dalle lunghe corse sulla fascia ai banchi della politica. Con i suoi assist Marco Schenardi si è costruito una carriera da professionista nel mondo del calcio fino alla...

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Dalle lunghe corse sulla fascia ai banchi della politica. Con i suoi assist Marco Schenardi si è costruito una carriera da professionista nel mondo del calcio fino alla grande ribalta della Serie A. Nelle Marche, ad Ancona, ha scritto la storia conquistando la massima serie nel 2002-2003 in quella corazzata allestita da Ermanno Pieroni e condotta alla gloria da Gigi Simoni. Oggi è assessore allo sport, alle politiche giovanili e alla Protezione Civile del Comune di Terni al fianco del vulcanico sindaco Bandecchi. Una nuova vita, ma con lo stile di sempre.

 

Schenardi, in campo era un corridore di grande qualità.

«Ero un giocatore generoso che non si risparmiava. Quando mi fisso un obiettivo faccio di tutto per portarlo a termine in maniera corretta e leale».

È così anche in politica?

«Bisognerebbe chiederlo agli altri, ma i valori restano sempre gli stessi. Senza i pantaloncini e la maglietta a maniche corte».

Si sbilanci.

«Diciamo che ho sviluppato la capacità di mediare. In campo c'è meno facoltà di scendere a compromessi, sia da giocatore che da allenatore. In politica bisogna trovare sempre il giusto equilibrio: è la prima cosa che ho imparato».

Come nasce quest'avventura?

«Da Bandecchi, grazie al suo ruolo di presidente della Ternana. Io lavoravo da tecnico del settore giovanile, ci siamo conosciuti e ha sempre riposto grande fiducia in me. Ammetto di essere stato titubante, non credevo di appassionarmi a questo nuovo mondo».

Aveva ragione lui.

«Per tanto tempo ho detto di no. Poi ho ceduto, sapendo che avrei potuto dare una mano a sostenere la sua candidatura. Ho cercato di fare un assist, come quando giocavo, a Stefano ma soprattutto a Terni. Ero uno di quei centrocampisti di fascia che amava far segnare i compagni, con questo spirito mi sono tuffato nell’avventura».

Ancona, stagione 2002-2003.

«Esperienza magica, la promozione in Serie A con Simoni in panchina. La mia unica squadra in una città di mare».

Vuol dire molto?

«Abbastanza. Le città di mare sono diverse, passionali. Ti lasciano qualcosa nel cuore che poi non se ne va».

A lei è successo.

«Ricordo tutto di quell’annata: partimmo tra lo scetticismo generale, la Curva Nord ha creduto con noi all'impresa ma il resto del pubblico era diffidente. Giornata dopo giornata le cose cambiarono. Il Del Conero fu la spinta in più».

Due fotogrammi.

«Il derby marchigiano estivo di Coppa Italia con l'Ascoli, un gol e un assist per presentarmi alla tifoseria. In una gara sentita a livelli sovrannaturali. Poi Ancona-Venezia, ultima al Del Conero prima della gara promozione di Livorno. Un tripudio di sciarpe, bandiere e colori che ci permise di conquistare una vittoria all’ultimo minuto determinante per andare in A. Chiusi proprio quell'anno la mia carriera tra i professionisti, scendendo alla Narnese in Eccellenza. Una degna conclusione».

Piazza Cavour.

«Casa mia, il centro storico. Abitavo al terzo piano, vedevo il mare. Stavo bene con me stesso. Quante passeggiate al Viale della Vittoria dopo gli allenamenti. Bastava poco a quei tempi per ritrovare serenità».

Poi Portonovo.

«Uno dei posti più belli che ho avuto la fortuna di vedere nella mia vita. Anche d’inverno, metteva una calma incredibile. Purtroppo non ho avuto molte occasioni di tornarci dopo aver concluso il rapporto professionale con i biancorossi. Prometto di rifarmi presto».

Chi è l'avversario più forte mai incontrato?

«Maradona».

Ma va?

«Un extraterrestre. Trovandotelo di fronte ti perdevi nell’ammirarlo, la maestria con cui accarezzava la sfera, il rispetto dei colleghi. Tante piccole cose che lo hanno reso ciò che è stato. Un fenomeno».

Tra i suoi compagni, invece?

«Gheorghe Hagi, talento incredibile. Faceva cose di un altro pianeta. Carattere molto sensibile, un bravissimo ragazzo».

Meglio il calcio di ieri o di oggi?

«Di ieri, anche qui ho pochi dubbi».

Lo motivi.

«Gli stadi pieni, la passione popolare e non televisiva, le radioline per strada. Gli stessi giocatori: tutti più veri. Ci sono partite in cui mi annoio, non si attacca, mille passaggi senza tirare in porta. Non è più il mio calcio».

Non le piace.

«No, non mi piace. Ma il pallone è sempre la mia vita, anche ora che siedo dietro una scrivania. Sono quegli amori dai quali è impossibile staccarsi».

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Corriere Adriatico