Crisi pausa pranzo: lo smart working svuota i ristoranti

Crisi pausa pranzo: lo smart working svuota i ristoranti
Durante il lockdown ha contribuito in maniera determinante a mandare avanti la macchina amministrativa e l’economia dell’intera regione. Ma adesso che la pandemia...

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Durante il lockdown ha contribuito in maniera determinante a mandare avanti la macchina amministrativa e l’economia dell’intera regione. Ma adesso che la pandemia Coronavirus è sotto controllo il ritorno negli uffici avviene a rilento, con una gradualità che segue la cautela del governo, il quale ha fissato il termine dell’emergenza per la fine di luglio.


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Ma è un cane che si morde la coda e si fa davvero male: perché questa ripresa a rallentatore fa sprofondare nella crisi tutte quelle attività impegnate nella pausa pranzo dei dipendenti pubblici: ristoranti, bar, negozi in franchising che prima contavano sulle due ore di stop dei pendolari e dei lavoratori che comunque preferivano restare nei paraggi del luogo di lavoro, ancora oggi fanno i conti con un lockdown di fatto che prolunga l’agonia. È l’altra faccia dello Smart working che colpisce le oltre 37mila imprese che animano il comparto del commercio all’ingrosso ed al dettaglio. Cosa fare? I sindacati nelle ultime settimane stanno cercando di pianificare con le amministrazioni il rientro graduale dei dipendenti: confronto fitto con il Comune di Ancona, svuotato dal Covid e con il 70% dei lavoratori in modalità lavoro agile. 

 

Sta accadendo in tutte le realtà marchigiane, per ripopolare i centri e le attività ma anche e soprattutto per garantire nuovamente i servizi in presenza. «Questa esperienza ha dimostrato che l’implementazione dello Smart working anche a condizioni normali, può andare ben al di sopra della soglia del 10% fissata dal ministro della Funzione Pubblica - spiega Matteo Pintucci, segretario generale della Fp Cgil Marche - occorre però che il lavoro agile possa avere una normazione più dettagliata anche nel prossimo rinnovo del contratto nazionale di lavoro». E i dettagli riguardano anche la necessità di sviluppare una opportunità tenendo conto delle reazioni a catena che si potrebbero generare in una regione come le Marche che vive soprattutto di attività artigianali.


«Con l’avvio della Fase 2 sono molte pubbliche amministrazioni stanno iniziando ad organizzare rientri programmati e a turno del proprio personale: ma seppure con percentuali diverse, rimane ancora complessivamente alto l’utilizzo dello smart working che si attesta attorno al 75-80% del personale in forza». Nelle Marche - stima la Cna - sono 5.043 i ristoranti che, faticosamente, provano a ripartire. «Alla fine di marzo davano lavoro a 28.438 addetti. I bar sono. 3.242 e, prima del lockdown, avevano 12.260 lavoratori. Servono più tavoli all’aperto per far ripartire ristorazione e turismo, recuperando coperti e rispettando le misure interpersonali». Ma la ricetta, senza clienti, rimane solo sulla carta. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico