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ANCONA - Sos siccità: le Marche si preparano a chiedere lo stato di emergenza al governo nazionale il 2 agosto, al netto di un miglioramento della situazione meteo che non pare però all’orizzonte. Le piogge previste in questi giorni, infatti, molto difficilmente riusciranno a recuperare mesi di assenza pressoché totale di precipitazioni.
E, in ogni caso, le piogge estive non possono colmare i serbatoi che non sono stati riempiti nei poco piovosi mesi autunnali ed invernali. Dunque la Regione è corsa ai ripari e, già da ieri, è stato aperto il pozzo di emergenza del Burano, nella provincia di Pesaro. Inoltre, è stato avviato il servizio di autobotti per le zone montane.
I provvedimenti
Sono i due provvedimenti adottati dal Comitato di emergenza idrica delle Marche per contrastare la crisi in atto e scongiurare la richiesta dello stato di emergenza. «La situazione - spiega l’assessore con delega alla Protezione civile ed alle Risorse idriche Stefano Aguzzi - è particolarmente difficoltosa nella provincia di Pesaro e Urbino, dove gli invasi sono al 20% della loro potenzialità ed il fiume Metauro rasenta la secca».
La situazione
«I provvedimenti mirano a contenere, per quanto possibile, la pressione sul territorio - è l’analisi dell’assessore -. Lo scenario è reso complicato dalla contestuale carenza idrica in montagna e dalle difficoltà segnalate dagli operatori agricoli su tutto il territorio regionale. La protezione civile - fa sapere - metterà a disposizione autobotti per rifornire le aree interne, ma la situazione si sta progressivamente aggravando, facendo scivolare le Marche verso la richiesta dello stato di emergenza, senza un improbabile mutamento del quadro meteo già nei prossimi giorni». Sia nel segmento dell’idropotabile, che sul fronte dell’irrigazione delle colture, la perdurante assenza di piogge di questi mesi ha mandato in affanno le risorse idriche ed i danni iniziano a farsi tangibili soprattutto in agricoltura.
L’agricoltura
Coldiretti ha stimato che nelle produzioni di vino ed olio la flessione si assesterà su un -30%, mentre per i foraggi la riduzione arriverà a toccare il -50%, mettendo in crisi anche gli allevamenti, già in forte difficoltà. Ma la questione si pone anche a medio termine per le primizie autunnali come gli spinaci: molti agricoltori stanno valutando di non piantarli, prevedendo già che i raccolti farebbero difficoltà a raggiungere livelli accettabili.
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Corriere Adriatico