CINGOLI - L’ennesima fuga dell’ex primula rossa del banditismo sardo Graziano Mesina, 87 anni (compiuti lo scorso 4 aprile) ha riportato alla ribalta le sue gesta...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
La pagina delle Marche
E tra le pagine nere della storia del più famoso bandito sardo del dopoguerra, una riguarda le Marche, quella del sequestro dell’industriale calzaturiero Mario Botticelli, avvenuto il 26 gennaio 1977 in provincia di Ascoli. E al sequestro partecipò Graziano Mesina. L’industriale calzaturiero trascorse diversi giorni della sua prigionia sulle montagne di Cingoli. Mesina dopo l’evasione dal carcere di Lecce nel 1976, durante la sua latitanza fece “tappa” a Cingoli e scelse come rifugio una capanna di un pastore nelle vicinanze di San Vittore di Cingoli.
La parrucca nel casolare
I carabinieri (seguendo le cronache del tempo) trovarono all’interno del capanno una parrucca che avrebbe indossato proprio Graziano Mesina per non farsi riconoscere. Sulla presenza del bandito sardo nel Cingolano e su quella parrucca si discusse tantissimo e per diversi anni. Fu lo stesso Mario Botticelli (facoltoso industriale di Marina Palmense) una volta liberato, ad individuare la sua prigione soprattutto grazie al suono delle campane di una chiesa che ogni sera suonava l’Ave Maria di Schubert. Non fu facile rintracciare quella chiesa. Gli inquirenti andarono avanti ad esclusione e alla fine l’orientamento cadde su una chiesa situata in una zona tra la località Internone nel cingolano e il confine con San Severino. “Grazianeddu” venne arrestato il 16 marzo 1977 a Caldonazzo, in provincia di Trento, durante una perquisizione in un appartamento. Ma anche le indagini sul sequestro del “re della sambuca”, Marcello Molinari, sequestrato il 17 maggio 1981 a Civitavecchia, condussero gli inquirenti nel Cingolano, una zona che era diventata quasi un “passaggio” obbligato per i sequestratori che potevano contare su diversi basisti del posto.
I 72 giorni di Molinari
Molinari passò tutti i suoi 72 giorni di prigionia tra i boschi cingolani, legato con una catena ad un’albero. Venne liberato due mesi dopo a mezzanotte del 28 luglio 1981 (i carcerieri si sarebbero sentiti accerchiati delle forze dell’ordine): verso le 5.30 del mattino dopo aver camminato per diversi chilometri, mise piede in località Colcerasa e bussò alla porta di un sarto per cercare aiuto. Per scovare i carcerieri fu importante individuare la zona di prigionia dove venne tenuto nascosto Molinari. E proprio il re della sambuca contribuì all’arresto dei carcerieri (diversi di loro implicati anche nel sequestro di Botticelli) individuando la zona grazie alla musica che proveniva dall’impianto di una chiesa.
Quel suono distinto
Un suono distinto (anche se proveniva da lontano) ed era il suono dell’Ave Maria di Schubert. Tra i due sequestri (quello di Botticelli avvenne nel ‘77, mentre quello di Molinari nell’81) ci furono molte somiglianze. Sia per la zona scelta dai sequestratori che per il modo in cui i carcerieri trattavano i sequestrati. Diventò un modus operandi della banda di Grazianeddu che quarant’anni dopo, ha rinverdito la sua fama di primula rossa
Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico