Il direttore della clinica di rianimazione: «Più pazienti in terapia intensiva rispetto ai ricoveri? Pochi tamponi e poi l’incognita delle cure a casa»

Il prof Abele Donati dirige la clinica di rianimazione degli Ospedali Riuniti
ANCONA - Professor Abele Donati, coordinatore regionale delle Rianimazioni e direttore della clinica di anestesia e rianimazione dell’azienda ospedaliera di Torrette, nelle...

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ANCONA - Professor Abele Donati, coordinatore regionale delle Rianimazioni e direttore della clinica di anestesia e rianimazione dell’azienda ospedaliera di Torrette, nelle Marche la percentuale di posti letto occupati nelle terapie intensive, rispetto al totale dei ricoveri, è più alta della media italiana: quali potrebbero essere le ragioni?


«Potrebbe esserci un discorso legato al numero di tamponi fatti, che da noi è inferiore rispetto ad altre Regioni della stessa dimensione, come il Friuli per esempio. O potrebbe essere dovuto al fatto che i pazienti restano a casa il più a lungo possibile perché magari le Usca sono ben attive, oppure perché non vogliono andare in ospedale se non quando stanno molto male. Abbiamo un certo numero di pazienti che arrivano in pronto soccorso e devono essere subito intubati e portati in terapia intensiva». 

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È una situazione anomala?
«Parliamo comunque di numeri piccoli: potrebbe anche essere all’interno di quella che è una variabilità normale da Regione a Regione». 


Il fatto che si eseguano meno tamponi rispetto ad altre Regioni e si tenda a lasciare il paziente il più a lungo possibile a casa sono aspetti che andrebbero corretti per recuperare questa sproporzione?
«Bisogna prima fare un discorso di numeratore e denominatore: al numeratore, ci sono i pazienti più gravi, quelli intubati in terapia intensiva, un dato non suscettibile a variabili. Al denominatore, invece, ci sono gli altri reparti: in questo caso, se le Usca sono brave, o i pazienti non vogliono andare in ospedale, restano a casa e dunque il denominatore si riduce. Magari in altre Regioni, i pazienti in quelle stesse condizioni si recano in ospedale, ma comunque non andrebbero in terapia intensiva». 


La sproporzione è dovuta al denominatore – cioè i minori ricoveri in area medica rispetto ad altre Regioni – e non ad un nominatore (terapie intensive) eccessivamente alto, insomma? 
«Sì, esatto. Se anche da noi andassero subito in ospedale, il rapporto tornerebbe in linea con la media. Il numero dei pazienti gravi è quello: il problema non è che vengono intubati troppi degenti, anche perché nessuno di noi si diverte ad intubare le persone». 


Dunque non dipende dal fatto che i pazienti arrivino in ospedale troppo tardi?
«Può succedere che quel paziente che in altre Regioni viene ricoverato in un reparto ordinario, da noi resti a casa. Ecco che così si riduce il numero dei ricoverati non intensivi. Ma se il decorso della malattia porta il paziente in terapia intensiva, può accadere sia nel caso in cui fosse già ricoverato in un reparto ordinario, sia nel caso in cui arrivasse direttamente da casa». 


Una tendenza anche in passato? 
«Sì, è stata una tendenza costante. Anche la scorsa primavera avevamo una percentuale di pazienti in terapia intensiva, rispetto ai ricoveri totali, più alta». 


Al momento, i ricoverati per Covid nelle Rianimazioni marchigiane sono 21, quindi stiamo scendendo verso quel tasso di occupazione al 10% individuato dal governo come soglia critica: che autunno possiamo aspettarci?
«La riapertura delle scuole è una cosa che dobbiamo monitorare. Questa settimana i numeri delle terapie intensive sono in calo rispetto alla scorsa, quando eravamo arrivati ad un tasso di occupazione del 13%. Per vedere quale sarà l’andamento della pandemia, però, secondo me dobbiamo aspettare ottobre».


Il sistema sanitario reggerebbe un’altra ondata? 
«A Torrette abbiamo praticamente completato le nuove Rianimazioni. Il problema è il personale, soprattutto infermieristico».


Le sospensioni legate al non aver ottemperato all’obbligo vaccinale potrebbero mettere in difficoltà il suo reparto? 
«Nel reparto che dirigo non c’è nessun caso tra i medici. Probabilmente c’è solo un infermiere, dunque numeri non decisivi».


Qual è, al momento, l’età media dei ricoverati in terapia intensiva? 


«Abbiamo pazienti di ogni fascia d’età, da una ragazza trentenne fino a degenti settantenni. Quasi tutti non vaccinati». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico