Coronavirus, solitudine choc in corsia. Un'infermiera: «Quanti anziani disperati stringono le foto dei nipoti»

La squadra della Cardiologia sub-intensiva di Torrette dirottata per l’emergenza al Covid-8,
ANCONA - «Il reparto Covid è un mondo parallelo, chi non lo vive non può capire: finestre sbarrate, porte sempre aperte per garantire la pressione negativa,...

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ANCONA - «Il reparto Covid è un mondo parallelo, chi non lo vive non può capire: finestre sbarrate, porte sempre aperte per garantire la pressione negativa, uomini e donne nelle stesse stanze, dov’è difficile tutelare la loro intimità. È il regno della solitudine». Alessandra Pignocchi è una delle infermiere della Cardiologia sub-intensiva di Torrette dirottata per l’emergenza al Covid-8, la più recente delle divisioni allestite al terzo piano dell’ospedale per curare i pazienti infettati dal nemico invisibile. Quella in cui opera è una realtà inconcepibile per i profani. «Il tempo sembra sospeso all’infinito - racconta -. Il paziente sa quando entra, ma non se e quando uscirà. La cosa più sconvolgente è l’isolamento totale, dalle famiglie, dagli amici. Anche con noi infermieri purtroppo si crea una barriera, dovuta alle protezioni di sicurezza: siamo completamente bardati, per riconoscerci dobbiamo scrivere i nostri nomi sulle divise. Si snatura la stessa umanità dell’infermiere: dietro quelle maschere non possiamo regalare nemmeno un sorriso». 


 

La speranza
Che spesso è l’unico spiraglio di speranza a cui si aggrappa chi è vittima di questo male oscuro. «È dura anche per noi lenire le sofferenze di chi lotta ma non riesce a respirare - ammette Alessandra -. Noi stessi abbiamo paura del contagio. Quando torniamo a casa, ci isoliamo dalle nostre famiglie per evitare di renderci portatori del virus. Ci sono colleghe che non vedono i figli da settimane perché hanno preferito mandarli dai nonni per non correre rischi, anche se siamo protetti da tute, maschere, guanti». La corazza del combattente non basta per sentirsi al sicuro. «Lavoriamo bardati per minimo 4 ore, durante le quali non possiamo bere né andare in bagno. È una prova di forza fisica e psicologica. Ma non chiamateci eroi: nessuno di noi pensa di avere super poteri, siamo persone che cercano di dare il massimo in una situazione d’emergenza, anche se alla fine del turno usciamo stremati e con i segni sul viso». L’aspetto più disumano è la solitudine di chi non può ricevere una visita, un abbraccio, un bacio. Una lotta impari, io-contro-il-virus. Per abbattere la barriera dell’isolamento, Alessandra Pignocchi e il collega Antonio De Fazio hanno lanciato un’iniziativa a cui hanno aderito tutti gli infermieri della Cardiologia di Torrette. «Grazie ai medici, alla coordinatrice del Covid-8 Ilaria Battistoni e alla dottoressa Maria Vittoria Matassini, su Facebook siamo riusciti a raccogliere dei tablet e una quarantina di cellulari usati: consentiremo così ai pazienti di fare videochiamate ai parenti, sfruttando una rete wi-fi attivata dall’Azienda ospedaliera. È un piccolo gesto che, però, li ha resi contentissimi. Anche gli edicolanti ci stanno dando una mano, consegnandoci giornali e riviste: anche solo un cruciverba cambia la vita del paziente. Abbiamo preso l’abitudine di fornire informazioni ai familiari, a fine giornata: li chiamiamo ad uno ad uno per aggiornarli sulla situazione perché chi entra nel reparto Covid perde i contatti con l’esterno e non sa nemmeno se i propri cari sono a conoscenza di dove si trova. Sono i nonni a farci più tenerezza: in mano stringono le foto stropicciate dei nipoti, vorrebbero vederli, toccarli». 

Il monito

Ma attenzione, il Coronavirus non è la malattia degli anziani: colpisce tutti, indistintamente. «Ieri abbiamo dimesso un ragazzo di 25 anni - racconta Alessandra -. Era felicissimo, noi più di lui. «Ci rivediamo fuori», ci ha detto. Come lui, altri giovani sono ricoverati nel nostro reparto, a riprova che il virus non risparmia nessuno e lo sconfiggeremo solo quando tutti resteremo a casa».  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico