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ANCONA Una strada in salita. Archiviata la sentenza di condanna per il crac di Banca Marche, con il riconoscimento in primo grado delle responsabilità di 6 imputati, per le 3.200 parti civili costituite si apre un altro capitolo: quello dei risarcimenti. Il collegio penale ha decretato che sarà il giudice civile a quantificare la somma spettante a chi ne ha diritto. Al di là delle provvisionali riconosciute per un massimo di 15mila euro, dovrà essere incardinato un nuovo procedimento.
Gli ostacoli
«Bisognerà avviare una causa civile - afferma l’avvocato Andrea Nocchi, che tutela ex azionisti - ma le possibilità di recuperare qualcosa sono davvero ridotte. È una doppia beffa, anche perché bisognerà spendere altri soldi». E tempo. Le possibilità sono ridotte per due fattori: all’epoca delle indagini non erano scattati sequestri patrimoniali nei confronti dei futuri imputati.
Il tesoretto
Nel Fondo è rimasto un tesoretto di circa 500 milioni di euro. La capacità iniziale era di un miliardo e mezzo, da stanziare dal 2019 al 2022, anno in cui sono scaduti i termini per le domande. «Chiediamo - afferma l’avvocato Corrado Canafoglia dell’Unione Nazionale Consumatori - che i milioni residuali vengano ripartiti anche tra chi ha già ottenuto l’indennizzo. Chi è stato risarcito ha il diritto di ottenere ulteriori somme. In questa direzione, sono in atto interlocuzioni in atto con il Governo». Escludendo il Fondo, la partita dei risarcimenti, seppur complicatissima, è aperta su più fronti. «La possibilità di recuperare qualcosa - continua Canafoglia - è minima ma ci muoveremo in massa per ottenere il maltolto. Il processo ha fatto luce sulla gestione commissariale e su alcuni soggetti che non sono entrati nel procedimento. Questo ci consente di decidere a chi andare a bussare: le assicurazioni di Bdm, i commissari e la società di revisione dei conti. Tutti vogliono i soldi che gli spettano e da qualche parte li andremo a prendere».
Il processo
«Il processo penale - dice l’avvocato Ezio Gabrielli dell’Adiconsum - è stata solo una delle iniziative messe in campo dai nostri associati, che si sono mossi anche in altre sedi». Ovvero, il Fir e le cause civili degli azionisti (che avevano partecipato all’aumento di capitale del 2012) contro la società di revisione, la Price Waterhouse Cooper. «La sentenza delle sei condanne è un primo grado, da parte nostra la vigilanza rimarrà attiva». La partita, dunque, non è finita e l’attenzione deve restare alta fino alla fine. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico