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JESI È vivo e sta bene Antonio Mancini, l’ex componente della Banda della Magliana che vive a Jesi da 20 anni e che per qualche ora è stato protagonista involontario di una fuga di notizie sulla sua presunta morte, che in realtà riguardava un quasi omonimo. «Stanotte non ho chiuso occhio – racconta mentre prepara il caffè in casa – è stato un via vai di messaggi, ai quali ho risposto da vivo e vegeto. Meglio così, smentire una fake news da vivo», sorride.
Il racconto
Ironizza sulla sua dipartita annunciata sui media nazionali, e anche sull’età che gli è stata attribuita. «Io ho dieci anni di meno, 75», tiene a precisare. «Ho due figlie e quattro nipoti, potete immaginare le lacrime e i pianti.
«Sono morto e nessuno me lo ha detto»
Ancora un sorriso: «Quando ho appreso la notizia della mia scomparsa ho pensato “qui sono morto anche io e nessuno me lo ha detto”, in fondo per sconfiggere la paura della morte bisogna ironizzare». Scherzo del destino, e di una quasi omonimia. A passare a miglior vita non è stato Antonio, ma Luciano Mancini, anche lui ex della Banda della Magliana, scomparso il 2 gennaio a 85 anni. Antonio Mancini (detto Accattone), protagonista della malavita romana tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90, nato e vissuto a Roma nel quartiere San Basilio, nei primi anni ’80 entra tra i componenti della famigerata organizzazione criminale che voleva conquistare Roma. Nel 1994 Antonio diventa collaboratore di giustizia. «Quando fai una scelta di vita è inutile nascondersi», riflette. Dopo aver pagato il debito con la giustizia, la svolta, perché «cambiare si può, basta volerlo davvero». La nuova vita è a Jesi da più di 20 anni.
«Ringrazio Jesi, così mi sono reinserito nella società»
«Devo tutto a un ispettore di Polizia, Angelo Sebastianelli, al presidente dell’Anffas, Antonio Massacci, e al Comune di Jesi, mi hanno offerto la possibilità di reinserirmi nella società. Ho fatto tutta la mia galera, il carcere duro, poi per 10 anni ho avuto la possibilità di restituire qualcosa». Si è riscattato con un lavoro da assistente nel trasporto dei disabili, grazie alle famiglie che dopo la diffidenza iniziale lo hanno accolto. «Nel pulmino ogni giorno era festa. Mi sono sentito io disabile, che avevo ferite da curare». Chiude con ironia: «La notizia della mia morte a 85 anni mi ha allungato la vita. Ne ho almeno altri 10 assicurati».
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