ANCONA - «Aspettiamo, vediamo che dice Renzi». La lunga giornata post elettorale di Francesco Comi è come un viaggio sulle montagne russe. C’è la...
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E’ un lunedì nero per il Pd. Il telefono di Comi è un continuo trillare: «Francè, che facciamo con questi risultati?», gli chiedono i segretari provinciali sconsolati. I territori sono tutti in agitazione. Pesaro è la polveriera. L’ipotesi delle dimissioni in blocco della segreteria regionale prende corpo durante la giornata, all’inizio si parla di un traghettatore, dira il nome del pesarese Marco Marchetti, qualcuno ipotizza il fermano Paolo Nicolai. Ma Renzi blocca tutto: «Niente caminetti», scandisce. «Non ho intenzione di abbandonare il partito, almeno per ora - confida a più riprese Comi ai suoi fedelissimi durante la lunga notte delle elezioni, trascorsa fino all’alba nella sede di piazza Stamira -. Prima di me, sai quanti si dovrebbero dimettere!». Non fa nomi, ma il pensiero corre ovviamente a Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, vero playmaker della campagna elettorale marchigiana, quello che ha voluto a tutti i costi il ministro Minniti nel suo collegio «perché darà un valore aggiunto» ed è finita malissimo. Con una doppia umiliazione, per il ministro e per il Pd pesarese. Un caso nazionale, citato addirittura da Renzi nella sua conferenza stampa. Non solo: Camilla Fabbri, la parlamentare “sacrificata” e spostata nottetempo dal suo collegio a quello più a sud di Fano-Senigallia sarebbe pronta alla resa dei conti interna. «Pur giocando fuori casa ha preso gli stessi voti del ministro. Se avesse corso a Pesaro, avrebbe potuto giocarsela alla grande», si sfogano i suoi fedelissimi.
Parola d’ordine stand by
Nel frattempo, in piazza Stamira, si pensa ad una possibile exit strategy ma si attende di capire come evolverà il quadro nazionale. «Il Pd sarà all’opposizione - argomenta l’unica deputata pesarese, Alessia Morani -. Chi ha vinto è giusto che si assuma la responsabilità di un nuovo Governo». Per quanto riguarda il Pd, «a volte si vince, a volte si impara», chiude sibillina. Parola d’ordine quindi, per il momento, è stand by. E apertura di una fase nuova. Ma è chiaro che è solo una quiete prima della tempesta. Passate le prime ore, esaminato lo tsunami, partirà inevitabilmente la resa dei conti. Con Ricci che proverà a tirar dritto chiamando in causa Comi e Ceriscioli e con questi ultimi che non faranno mancare parole al vetriolo contro Ricci. E la corrente degli orlandiani, con Fabbri, con fortissimi mal di pancia.
Il congresso si diceva. Il mandato di Comi scade nel 2018, il terremoto elettorale accelererà i tempi. «Ma sarebbe un errore andare a congresso regionale adesso - ragionano alcuni dem -. Si creerebbero tensioni che in questa fase meglio evitare». E poi ci sono le Comunali di maggio. «Un partito senza guida non sarebbe un buon viatico per le amministrative - ragionava ieri Comi con i suoi fedelissimi -. Ci sono le Comunali a Grottammare, P.S.Elpidio, Falconara e soprattutto Ancona». C’è poi la questione-Regione. Ceriscioli non ha partecipato al voto perché da giorni è in Giappone per il diploma del figlio. Ma ha superato la metà del mandato e la sua azione amministrativa avrebbe forse bisogno di un lifting, della spinta di un rimpasto. Lui per ora dice no come pure non ci pensa minimamente a dimettersi (ieri glielo ha chiesto il M5S). «Calma, un passo per volta», il messaggio di Comi in attesa di avere indicazioni di Roma. In serata la svolta: dimissioni sì, ma dopo la nuova road map. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico