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Dal 15 settembre, la resilienza a Cantiano si chiama “rimboccarsi le maniche”. «Da sei mesi - racconta la parrucchiera Antonietta Bussotto - non abbiamo mai smesso, ma siamo a girocollo». La metafora esprime la cruda realtà che accomuna chi ha perso qualcosa nell’alluvione. Benché si ritenga fortunata, è scoraggiata. Si è salvata issandosi su un balcone sopra il suo salone. «Per riaprire abbiamo adattato i mobili regalati da una collega di Castelfidardo e messo insieme i soldi delle raccolte di beneficenza dati dal Comune e i nostri risparmi». Nella formula mancano tuttavia i contributi del governo. «Sono orgogliosamente italiana - sottolinea - ma mi vergogno della lentezza dello Stato».
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Le storie
Anche Rita Arcangeletti per il suo alimentare ha dovuto farne a meno. La nuova scaffalatura è un dono di Bruno Passeri di Urbania e Maurizio Parroccini e l’affettatrice di una famiglia di Bergamo.
Il dramma
Non ha più mobili, vestiti, lavoro ma abbastanza caparbietà per battersi affinché la ricostruzione della Sp 48 sia diversa. Avverte: «Babbo, già negli anni Settanta, aveva denunciato la Provincia che intubare le acque avrebbe provocato un disastro». Un’ingegneria diversa, adeguata ai cambiamenti climatici è un’altra richiesta che accomuna l’entroterra montano. L’ansia ogniqualvolta le piogge si fanno più intense rendono i torrenti sorvegliati speciali. Dal Giombi che attraverso Petrara di Serra Sant’Abbondio al Cesano di Pergola che divide il Quartiere della Chiesa Santa Maria delle Tinte. «Ci sono diverse case inagibili - fa notare Eleonora Guerra, custode del monumento barocco danneggiato - e poi, il problema del ponte in rifacimento transennato, perno della viabilità e che separa le case dei genitori da quelle dei figli». Lo strazio in un’immagine.
Corriere Adriatico