Porto Recanati, incappucciato urla sul treno: scambiato per terrorista

Porto Recanati, incappucciato urla sul treno: scambiato per terrorista
PORTO RECANATI - Sale su un treno regionale vestito di nero e incappucciato urlando: «Qui comandiamo noi». In mano, un pezzo di lamiera. Panico sul convoglio. In...

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PORTO RECANATI - Sale su un treno regionale vestito di nero e incappucciato urlando: «Qui comandiamo noi». In mano, un pezzo di lamiera. Panico sul convoglio. In realtà lui non era un terrorista come in molti avevano subito creduto e quello che aveva in mano non era un’arma vera e propria ma un banale coperchio di una scatoletta, simile a quelle del tonno. Il terrore vissuto dai presenti invece è stato vero, così come l’intervento dei carabinieri e il successivo processo penale a carico dell’autore del gesto. 


Due giganti in divisa e un ragazzo: gli eroi che hanno salvato un 20enne

Ieri mattina nel Tribunale di Macerata si è chiusa l’istruttoria del procedimento instaurato nei confronti di Michele Frattolino, 36enne di San Marco in Lamis in provincia di Foggia con le testimonianze del maresciallo dei carabinieri Cesare Proietti, all’epoca in servizio alla Stazione di Porto Recanati, e il capotreno Antonio Pandolfi.
 
Il giudice Vittoria Lupi e il pm Rocco Dragonetti hanno raccolto le loro testimonianze su ciò che accadde il primo aprile del 2017. Se fosse un pesce d’aprile o no, e il motivo del gesto il giovane ai carabinieri non l’ha mai spiegato, ma a contestualizzare l’accaduto è stato il maresciallo Proietti: «Era il periodo degli attentati (a Instanbul e a Londra, Ndr) e ci erano arrivate diverse segnalazioni di un uomo vestito di nero con cappuccio nero che minacciava delle persone nei pressi della stazione di Porto Recanati, era indicato come un probabile terrorista». Anche al capotreno Antonio Pandolfi quell’uomo era apparso quale possibile attentatore e ieri in aula ha riferito di vere e proprie scene di panico. L’uomo era salito sul treno con un giubbotto nero pesante, si era messo il cappuccio a mo’ di passamontagna e aveva iniziato a urlare: «Qui comandiamo noi». «Andava avanti e indietro con un pezzo di lamiera in mano – ha spiegato Pandolfi –, non si capiva se parlava un accento del sud o una lingua straniera, alcune donne urlavano, tanta gente è scesa dai vagoni e poi è sceso pure lui». 

Poco dopo sono arrivati i carabinieri, in quattro lo hanno bloccato poco distante, nel sottopassaggio e lo hanno portato in caserma. L’udienza è stata rinviata per la discussione. L’imputato è difeso dall’avvocato Francesco Iacopini. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico